Hanno finito il ramadan, ora mangiano quando gli va.
Tra gli altri, D. è uno di quelli che mi è entrato nel cuore. Devo ancora capirne il perché.
Lo trovo in cucina ad un certo punto. Si sta sgraffignando un bel piatto di linguine sminuzzate con sugo e carne. Cucinano e puliscono loro in questo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), perché si pensa che la gestione degli spazi condivisi e vissuti giorno e notte sia un ottimo metodo per avvicinarli ad una condizione di autonomia fatta anche di rispetto verso gli altri. D. mi chiede a modo suo, sorridendo tra dialetto e gesti, di mangiarne un po’ anche io di quelle linguine. Sono arrivato allo Sprar dopo pranzo, oggi, e nonostante non abbia fame penso sia giusto condividere quel piatto con lui. Mi metto due fili di pasta nel piatto e lui pensa bene di aggiungere qualche pezzo di carne, ché non ne avevo. Poi ritorna nella sua posizione: piatto a terra, seduto sulle ginocchia, goloso a modo suo. Non male, penso, mentre io mangio in piedi e lui è accovacciato.È un esempio di incontro tra due culture.
Spesso mi sono chiesto come faccio a fargli capire cos’è un quaderno, cosa sono delle vocali e perché debba fargli ripetere ogni giorno una cosa chiamata alfabeto, che poi le lettere inserite tra le parole hanno un altro suono?
Provo ad immedesimarmi negli utenti meno alfabetizzati di questo luogo che rappresenterebbe il livello successivo rispetto alla prima accoglienza. Proviamo a fargli avere un po’ di infarinatura di italiano. È fondamentale avere le basi linguistiche dello stato che ti ospita, a modo suo certo, ed è ancora più importante riuscire ad esprimersi in un italiano comprensibile. Dopo l’accoglienza e le lunghe fasi burocratiche che ti porteranno ad avere un permesso di soggiorno, un’identità e dei diritti riconosciuti (si spera), bisogna sbracciarsi e trovare un lavoro. L’impresa che per tutti, italiani e non, rimane molto spesso il miraggio di una vita.
Insomma, ti scontri per forza di cose con le differenze culturali. Capisci piano piano come parlano e cosa per loro (l’altro) è scrittura e lingua, ad esempio. Forse qualcuno di loro un quaderno non l’ha mai visto, nessuno gli ha detto di scrivere tra le righe di una pagina, né di ripetere a memoria un’accozzaglia di suoni come A E I O U.
Ma cos’è la memoria? I nostri schemi mentali sembrano così artefatti a volte, così rigidi… forse uno smantellamento ogni tanto non farebbe male.
Oggi D. ha capito che gli stavo proponendo di registrare con il cellulare la sua voce mentre ripeteva con me le vocali. Ha capito che avrebbe dovuto farlo diverse volte, ed effettivamente sembrava funzionare l’esperimento. Domani vediamo se ha imparato.
Come per i bambini certe lettere dell’alfabeto sono un mistero. Vi ricordate quanto tempo avete perso per imparare a scrivere una N come si deve, oppure una R?
Ritorniamo bambini anche noi talvolta, anche se siamo colmi di cultura etnocentrica e padrona del mondo (quanto siamo presuntuosi!), quando ci approcciamo a qualcosa di nuovo e mai sperimentato.
Come per i bambini, prima si impara l’alfabeto, poi le sillabe. E ogni volta mi ripeto che l’italiano è una lingua bastarda, difficile persino per noi indigeni dello Stivale quando sbagliamo congiuntivi, condizionali e via dicendo. Sembra difficile anche il loro Bambara (la lingua di questi ragazzi), pieno di suoni ripetitivi e probabilmente senza vocali, e ogni volta mi dicono che non convenga impararlo: «no buono, no buono Bambara. Italiano buono!».