E’ sempre stato il mio Beatle, George Harrison. Quei due – John e Paul – erano Lennon&McCartney va beh, ma lui aveva quel suono inconfondibile che poi era il suono dei Beatles. Doveva sbattersi più degli altri per far emergere il suo talento e almeno con All things must pass ha dimostrato d’essere a quei livelli, pacatamente.
Di lui ho adorato tutto. I capolavori, certo, che non son stati pochi, ma anche le cose minori. Per il suono e per la sua voce discreta e inconfondibile. Per il coraggio nello sperimentare la commistione di generi, suoni, culture. E per la capacità di creare melodie straordinarie, eterne e – nel senso migliore del termine – persino rassicuranti. E poi la persona che fuggiva tenacemente dal personaggio, l’insofferenza verso il successo, la ricerca della normalità. Il suo essere the quiet one, quello tranquillo, che litigava con l’insopportabile Paul durante le riprese di Let it be, quello tranquillo che fino alla fine ha detto la sua, impossibile da non ascoltare, impedendo persino la pubblicazione dell’ennesimo inedito dei Beatles, negli anni Novanta. Era un grandissimo e sono passati già dieci anni.