Anno: 2013
Durata: 110′
Genere: Drammatico
Nazionalità: Australia
Regia: John Curran
Non sarà un caso che l’incredibile impresa on the road dell’australiana Robyn Davidson, quella di percorrere a piedi 2700 km nel deserto del west Australia con 4 cammelli ed un cane fino a raggiungere l’Oceano Indiano, sia stata compiuta negli anni Settanta, quando ogni avventura sembrava possibile ed il desiderio di ‘andare oltre’ superava barriere oggi apparentemente invalicabili. È questo il cuore del bel lungometraggio Tracks, del regista John Curran, americano ma naturalizzato in Australia, tratto dal libro omonimo della Davidson: un film sul viaggio, sulla solitudine, sulla ricerca di significato della propria vita, in relazione alla natura che ci circonda. “Negli anni Settanta - afferma la Davidson (63 anni), presente a Venezia per il lancio del film – i giovani erano in grado di fare cose straordinarie, spingersi al limite di ogni esperienza personale: io ero alla ricerca di me stessa e desideravo un lungo periodo di solitudine per rimettere insieme la mia personalità”. Il padre della Davidson aveva già attraversato in solitaria il deserto e la madre si era suicidata quando lei aveva 11 anni, così Robyn cresce con la zia, frequenta alcuni contesti ambientalisti e studia Zoologia ma, ad un certo punto, tutto le sembra poco autentico, anche l’autocommiserarsi del suo sesso, della sua classe sociale e dei suoi coetanei: mette a punto un itinerario ed inizia a cercare cammelli, condizione sine qua non della buona riuscita del viaggio. È qui l’avvio del film, quando la Davidson, interpretata con grande coinvolgimento da Mia Wasikowska (ricordate la candida Alice di Tim Burton?), attrice apparentemente troppo giovane e delicata per uno sforzo così arduo – ma anche la protagonista reale lo sembrava -, sbarca ad Alice Springs e comincia il suo apprendistato come domatrice di cammelli presso loschi figuri e brave persone. Dopo due anni è pronta, ha lavorato sodo ed ottenuto in cambio un paio di cammelli ed un fucile, ma non è sufficiente. Per ovviare ai costi necessari all’impresa Mia/Robyn accetta, a malincuore, di lasciarsi fotografare una tantum da un fotografo del National Geographic, Rick Smolan, e di scrivere un articolo per la rivista. Nel corso dell’estenuante e fantastica traversata di 9 mesi con i suoi amati cammelli – Bubs, Dookie, Zeleika e Golia - e con l’inseparabile cane nero Diggity, la protagonista incontra ogni sorta di difficoltà (cammelli selvaggi, serpenti velenosi, giornalisti molesti che la attendono nelle tappe più raggiungibili, piaghe da sole sul corpo e vesciche ai piedi), tutte ripagate dalla indescrivibile bellezza di paesaggi potenti e sempre diversi, dall’amore per i suoi animali superiore a quello per molti esseri umani (“posso avere a che fare con i maiali, ma le persone gentili mi spiazzano”), al senso impagabile di libertà ed emancipazione che solo il deserto (a chi gli sopravvive) sa dare.
Non mancano i momenti bui e di profonda solitudine, nei quali la ‘signora dei cammelli’, così la chiameranno tutti dopo la pubblicazione delle sue foto, conosce il cedimento e cerca un contatto umano: avrà infatti una relazione col fotografo Rick Smolan (del tutto funzionale alla situazione, almeno così nel film) ed un incontro di profonda e rispettosa intesa con alcuni anziani aborigeni che saranno le sue guide nelle terre ‘sacre’, dove una donna sola non sarebbe potuta entrare.
Nei titoli di testa compare anche una scritta di scuse, qualora con immagini o voci, siano stati offesi indigeni, pur se oggi defunti: tali rispetto ed attenzione fanno onore al regista, che si pone in linea con grandi cineasti quali Peter Weir e Rolf De Heer, sempre sensibili al tema degli aborigeni. La Wasikowska, che sembra sia stata così toccata dal suo personaggio da tornare a vivere in Australia, non si risparmia e trova nella sua interpretazione quella giusta miscela di diffidenza e dolcezza che, insieme alla stupenda fotografia, convincerà anche il pubblico più esigente di ogni età.
Elsabette Colla