avv. Eugenio Gargiulo
Non c’è nessuna lesione della privacy a carico del marito fedifrago che è stato pedinato dalla suocera e dal detective privato: le dichiarazioni di tali soggetti possono essere acquisite nel processo, come prove testimoniali, senza che ciò implichi la violazione di alcuna norma sulla riservatezza.
A dirlo è la Corte di Appello di Napoli in una recente sentenza. ( in tal senso C. App. Napoli, sent. n. 13/2014.)
Il codice della privacy (art. 24 co. 1, lett. F del D.Lgs. 196/03) prevede la possibilità di trattare, anche senza il consenso dell’interessato, i dati personali necessari ai fini delle investigazioni difensive o, comunque, per far valere o difendere in sede giudiziaria un diritto, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tale finalità o per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.
In pratica, sebbene la regola generale sia quella secondo cui, qualora vengano utilizzati i dati personali di un soggetto, c’è sempre bisogno del previo consenso di quest’ultimo (per esempio: fotografie, registrazioni, ecc.), ciò non vale se chi recupera tali dati agisce per tutelare un proprio diritto in tribunale (così, appunto, potrebbe essere il caso della moglie che voglia dimostrare la relazione extraconiugale del marito).
Attenzione però: la legge non attribuisce alcuna efficacia alla relazione investigativa redatta dall’ispettore. Infatti, si tratta di una prova realizzata fuori dal processo e, quindi, senza il contraddittorio delle parti. Sarà allora necessario che l’ispettore venga chiamato a testimoniare all’interno del processo e che confermi i fatti che dichiara di aver visto ed essere avvenuti in sua presenza. Tale è, almeno, il convincimento del Tribunale di Milano in una recente sentenza.
Un ultimo avvertimento. La lesione della privacy non può spingersi sino a commettere reati come la violazione della corrispondenza. Pertanto la moglie non potrebbe frugare nella posta o tra le email o gli sms ricevuti dal marito al fine di procurarsi le prove del suo tradimento. Tale comportamento è un illecito penale e l’eventuale risultanza – sostiene la Cassazione – non potrebbe avere ingresso nel processo ( Cass. sent. n. 585 del 9.01.2014).
Foggia, 27 febbraio 2014 Avv. Eugenio Gargiulo