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Tradizione o integrazione, la lunga marcia kirghisa

Creato il 06 ottobre 2014 da Pietro Acquistapace

 

In Ercis siamo visti come afghani. In Bishkek siamo visti come turchi. Ma per noi stessi siamo solo quello che siamo.

(Un kirghiso di Ulupamir)

Nella parte più orientale della Turchia, nei pressi del lago Van, si trova una minoranza la cui storia avventurosa ha molto da insegnare. Stiamo parlando dei kirghisi di Ulupamir (Grande Pamir), un villaggio non distante dal confine tra Turchia ed Iran, lontano migliaia di chilometri dal Kirghizistan, terra d’origine della comunità kirghisa che lo abita. Prima di arrivare ad Ulupamir questo gruppo di kirghisi ha attraversato alcune delle vicende più importanti del XX secolo: la rivoluzione sovietica, quella cinese e lo scoppio del conflitto afghano. In una vera e propria fuga dal comunismo, per la difesa della propria identità, i kirghisi di Ulupamir si sono poi trovati a dover affrontare un contesto molto difficile.

L’epopea di questa comunità kirghisa inizia negli anni ’20, quando decise di abbandonare la terra natale per sfuggire al regime bolscevico. L’Asia Centrale, infatti, si caratterizzò per una durissima resistenza alla collettivizzazione forzata da parte del regime sovietico, arrivando all’abbattimento dei propri capi pur di non consegnarli alle autorità. Come altre popolazioni centroasiatiche, questo gruppo di kirghisi decise di rifugiarsi in Cina. Tuttavia, ben presto, dopo la vittoria della rivoluzione maoista anche la Cina diventò una terra da lasciare, la marcia continuava; questa volta verso il corridoio di Wakhan, nel nord dell’Afghanistan. Le mandrie fecero dei kirghisi una parte ricca della popolazione afghana, ma il comunismo sembrava inseguirli.

Presagendo il colpo di stato afghano, nel 1978 circa 1300 di questi kirghisi itineranti ripararono in Pakistan, dove si trovarono ad essere accolti in campi profughi. Diverse centinaia morirono lungo il tragitto a causa delle difficoltà incontrate, sia per il diverso clima che per le condizioni di vita nettamente peggiorate. In Pakistan i kirghisi chiesero agli Usa il permesso di stabilirsi in Alaska, dove pensavano di poter tornare ad allevare yak, ma il permesso venne rifiutato. A venire loro incontro fu una Turchia in pieno periodo panturchista che decise di offrire loro una sistemazione. Vennero trasferiti in aereo e separati tra le provincie di Malatya e Van finchè, nel 1983, le autorità turche li stabilirono nel villagio di Ulupamir, dove oggi sono circa 5mila.

Ma i guai non erano finiti e la runione con i cugini turchi fu più difficile del previsto. I kirghisi si ritrovarono infatti a vivere in Kurdistan osteggiati dai kurdi che li vedevano come turchi. A peggiorare le cose il fatto che il villaggio kirghiso venne costruito sul sito del massacro di Zilan, dove nel 1930 i turchi uccisero circa 15mila kurdi. Oggi i rapporti tra le due comunità sono migliorate, ma nel 1993 Ulupamir si ritrovò ad essere attaccato a colpi di razzo dalle truppe del PKK, il partito comunista curdo. Anche con i turchi non si sviluppò una vera integrazione, nonostante le autorità fornissero al villaggio la polizia per proteggerlo dai curdi, il mullah per le funzioni religiose e le strutture per l’istruzione dei bambini.

Oggi, mentre i vecchi vivono nel ricordo dei tempi passati, i giovani sono sempre più integrati nella cultura e nella società turca, al punto che la maggior parte non parla più kirghiso. I matrimoni sono sempre meno contratti per convenienza sociale, come nell’uso kirghiso, e la poligamia non viene più praticata. I giovani lasciano il villaggio per studiare nelle grandi città turche, mentre gli adulti lo lasciano per cercare lavoro nell’edilizia o nel commercio, diverse centinaia anche nella milizia turca. Il divario tra vecchi e giovani deriva anche dal diverso islam praticato, ed insegnato, in Turchia, molto più severo dell’islam centroasiatico: nelle strade non si odono più i canti tradizionali delle donne kirghise.

Per la salvaguardia della cultura kirghisa è nata la Pamir Cultural Education Organisation, che ogni anno organizza la festa di Aryan, dedicata alla cultura tradizionale, dove si legge l’epica del Manas e si gioca al Buskashi, due aspetti tipici della cultura kirghisa. Questa associazione tenta anche di diffondere la lingua kirghisa tra i bambini cercando di impedirne l’estinzione. Ma l’aspetto più duro per i kirghisi di Ulupamir resta lo scontro con la realtà di un radicale cambio di vita, della perdita della propria identità e delle vaghe promesse di rimpatrio mai mantenute da parte di un Kirghizistan ormai indipendente.

http://www.meta.tj/wp-content/uploads/Among-the-Pamir-Kyrgyz-of-Eastern-Turkey.pdf


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