Tradurre il tradotto - Susanna Basso
Da Silviapare
Non è la prima volta che mi capita di ritradurre un libro già tradotto da qualcun altro. Mi era già successo con Running Dog di Don DeLillo (traduzione precedente di Livia Fascia), con i racconti di Amy Hempel (traduzioni precedenti di Ettore Capriolo ed Ennio Valentino) e con L'amore in un clima freddo di Nancy Mitford (traduzione precedente di Luisa Corbetta). Ora sto ritraducendo il bellissimo Speedboat di Renata Adler, già tradotto da Giancarlo Buzzi, e mi trovo di nuovo a riflettere sulle differenze fra il tradurre e il ritradurre.Questa volta però le mie riflessioni hanno trovato un'eco nelle parole di Susanna Basso, che nel suo libro Sul tradurre - Esperienze e divagazioni militanti (ed. Bruno Mondadori) scrive:"E tuttavia, ritengo personalmente corretto inserirsi in un solco già tracciato e ripercorrerlo senza rinunciare al proprio singolare sistema di perdite e recuperi su un dato testo.Perché ri-tradurre non è come tradurre, e quella rete fatta di felicità di resa, legnosità, sviste e intuizioni che gli altri traduttori hanno da offrirci costituisce a mio giudizio uno strumento di lavoro impagabile. So di colleghi che preferiscono non farsi influenzare e procedono comunque su vie nuove, in solitaria.Sono del parere opposto: mi metto sui passi di chi mi ha preceduta e ringrazio in cuor mio di ogni chiodo che trovo in parete."Ecco, io la penso proprio come Susanna Basso. E mi sento come lei quando scrive, dopo aver messo a confronto un brano di una sua traduzione di Alice Munro con lo stesso brano in una traduzione precedente, quella di Anna Rusconi:"Lavoravo sul testo con l'intento di seguire il filo del mio discorso, dando quindi la precedenza a un timbro di voce che negli anni ero andata ricostruendo dentro il mio italiano. Avevo tuttavia sempre a disposizione il racconto tradotto e, in ogni paragrafo, incappavo in scelte che concordavano letteralmente con le mie. In un primo tempo pensai che ciò succedesse quando leggevo prima il testo di Rusconi, il che mi fece da un lato supporre di esserne influenzata, e dall'altro temere una forma di mio progressivo impigrimento. Provai a non leggere l'italiano, ma il fenomeno si verificava lo stesso. In certi casi poi succedeva che, nel confronto, avesse la meglio la traduzione esistente. Mi chiesi a quel punto perché non ammettere che le nostre scelte potessero qua e là coincidere o, addirittura, che le sue scelte potessero convincermi più delle mie. Decisi di optare per questa forma di onestà: avrei tradotto secondo la mia lettura, ma anche tenuto conto del lavoro di una collega e 'adottato' le sue parole che sentivo di non volere diverse. Mi pareva un atto dovuto, l'esatto contrario di un furto.Lo stesso, in varia misura, è accaduto con tutte le traduzioni di Munro che ho consultato, mentre realizzavo le mie. Ogni volta dunque che le loro autrici riconosceranno le proprie parole, per le quali le ringrazio, mi auguro che, lungi dal sentirsi derubate, riusciranno a sentirsi citate."
Da: Susanna Basso, Sul tradurre - Esperienze e divagazioni militanti
© Bruno Mondadori
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