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Creato il 26 ottobre 2015 da Alessandro Moccia @cinemainpixel

2790_bigDEEJAY TV ore 21:15

Le tre storie che lo compongono hanno come minimo comun denominatore la droga e gli affari che ci girano attorno. Tre storie con protagonisti diversi, ma con uno sfondo sociale e culturale comune, si intrecciano e si confondono rimanendo però costantemente separati da una regia che, da questo punto di vista, aiuta lo spettatore nella comprensione del lento, ma coinvolgente incedere narrativo. A stupire non è tanto il fatto che sia girato bene (e lo è) o che sia scritto bene (e lo è), quanto la totalità e la larghezza di vedute con le quali affronta l’argomento. I personaggi non sono mitizzati e non viene mai concessa piena identificazione, sia essa nella forma del desiderio o del rifiuto; ogni interprete è in un metaforico viaggio alla conquista di un pezzo più grande di potere o tesa alla difesa di un potere appena acquisito, eppure sono tutti in realtà pedine inconsapevoli. Pedine non al servizio di un fantomatico grande vecchio né del classico gangster cattivissimo e neppure di un’istituzione corrotta; sono tutti marionette dentro un “sistema” composto da uomini e leggi (scritte e non) che sorreggono l’impalcatura-denaro, si autoregola e si rinnova senza bisogno di una mano in carne e ossa a muovere i fili, ognuno fa parte dei giochi di potere senza mai una reale possibilità di raggiungerlo fino in fondo. Un sistema che permette come unica chance di sopravvivenza il diventare parte di esso. Non ci sono vincitori, solo giocatori che si susseguono più o meno a loro insaputa: dal ragazzino a scuola al ricco professionista, dal giurista al poliziotto di quartiere, dall’ispettore alla casalinga. Una narrazione ad ampissimo raggio e una regia altrettanto totale, spesso molto vicina ai protagonisti, a tratti documentaristica e vicina all’inchiesta televisiva, in altri punti più di largo respiro e sono quei momenti in cui viene fuori l’intento anti-agiografico e contro l’esaltazione del mito. Ne viene fuori il ritratto di un mondo ancora legato a logiche western, senza quell’anarchia di fondo che in qualche modo poteva assolvere chi ne faceva parte, ma al contrario con una struttura ben precisa e voluta; un mondo che, come per l’Helena del film, ci può sembrare completamente estraneo e lontano nel tempo e nello spazio, ma che nella realtà dei fatti può nascondersi (nemmeno tanto bene) sotto le coperte entro cui dormiamo.


Archiviato in:Il cinema dal divano Tagged: Benicio Del Toro, Catherine Zeta-Jones, Michael Douglas, Steven Soderbergh, Tomas Milian, Traffic

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