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La visione di "The Master" mi ha sempre fatto sentire alla stregua di un reduce. L'idea era quella un po' buffa, un po' assurda, di essere sopravvissuto alle immagini di Anderson, al suo crocevia di forze psichiche e campi fisici, alle sue assuefazioni sincopate e frenetiche, a tutte le atrofizzazioni del desiderio che mi rendevano, sempre e comunque, ubriaco d'amore ormai lontano da Sidney, dalle magnolie o dalle Boogie Nights. "The Master" era soprattutto quell'incredibile storia d'amore dove le braccia generose e fragili di un Padre scaldavano l'algidità furente della massa in scena. I confini geografici erano quelli di una mente troppo affranta e vituperata per ricominciare di nuovo a respirare. Eppure l'opera pullulava di conflitti spaziali, dove deserti di agognata libertà collimavano con geometrie coercitive e spiagge libidinali (dove, ancora, si sognava di non essere più soli).
Compare ora in rete il trailer del nuovo tassello di quel cervello scheggiato, in frantumi, che è il cinema convulso, epilettico e mentale di Paul Thomas Anderson. E, viaggiando tra le incredibili immagini di uno dei maggiori cineasti americani viventi, mi chiedo: chissà che i tic esistenziali, la nevrosi dello sguardo, non possano cedere il passo a una nuova evoluzione, a un'inedita ma coerente traiettoria della forma-pensiero andersoniana.
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