Transfert e controtransfert

Da Renzo Zambello

 “Quando vedi rabbia negli altri, va e scava profondamente dentro di te e vedrai che quella rabbia  si trova anche lì.

Quando vedi troppo ego negli altri, va semplicemente dentro di te e vedrai quell’ego seduto lì dentro.

La dimensione interiore  opera come un proiettore: gli altri diventano schermi e tu inizi a vedere dei film su di loro, che di fatto sono solo i nastri registrati di ciò che tu sei“.   Osho  da:  ‘ Il gioco delle emozioni’

Chi mi segue sul  sito alla rubrica  domande e risposte di psicoterapia,   questa settimana ha potuto leggere quella di Paola: cos’è il controtransfert?  Bello! Domanda quasi insperata. Temevo che il tema forse un po’ demodé.  Sembra infatti che oggi  le  persone cerchino solo il modo per alleviare il più presto possibile i sintomi inseguendo  risultati immediati,  disposti ad  ingurgitare ogni tipo di pillola,  purché  miracolosa.  Leggere che  una persona è  interessata alla teoria e si chiede cos’è  e  come funziona la psicoanalisi, dà speranza.

Si, perché  il tema del transfert e controtransfert è squisitamente dinamico ed è l’ossatura teorica, l’architrave della psicoanalisi.  Il  controtransfert poi, pone una questione delicatissima che è  alla base  della professione: la formazione del terapeuta.  Ma andiamo per ordine e parliamo prima del transfert.

Freud arrivò al concetto di transfert per tappe successive, lo chiama prima spostamento perché il paziente sposta sul terapeuta i propri conflitti. Egli consta che il paziente  proietta sul terapeuta  quei ruoli  reali o fantasmatici che a sua volta aveva vissuto nella sua infanzia o ancor prima e che si erano depositati nel preconscio o inconscio. L’analista diventa il padre, ma anche la madre, buono/a o cattivo/a,  con tutte le conseguenze emotive e comportamentali che ne conseguono.  Scriveva Freud nel 1911  in ‘Tecnica della psicoanalisi’ : “È’ dunque normalissimo e comprensibile che l’investimento libidico, parzialmente insoddisfatto, tenuto in serbo con grande aspettativa dall’individuo, si rivolga anche alla persona del medico…. in altri termini, inserirà il medico in una delle ‘serie’ psichiche che il paziente ha formato fino a quel momento”.  Aggiungeva  poi: “ Ma il transfert  non è legato necessariamente al modello paterno, all’ imago paterna, come la chiamava Jung, ma può effettuarsi anche secondo l’imago materna, fraterna o parentale”. Per Freud,  il terapeuta diventa lo schermo dove il paziente, inconsciamente, proietta le immagini che ha dentro. Va da sé che il transfert può essere positivo o negativo a seconda della qualità del sentimento che il paziente tiene dentro di sé rispetto all’immagine che in quel momento viene proiettata sul terapeuta.

Mentre in Freud  c’è la teorizzazione e la constatazione clinica che la natura di quell’imago che il paziente proietta sul terapeuta sono di natura libidica con contenuti edipici, quindi da riferirsi ad un periodo adolescenziale, la  M. Klein afferma invece  che  solo dopo una lunga terapia affioreranno tematiche edipiche ma che per buona parte, a volte quasi per tutta la terapia, il transfert si manifesta su temi  che hanno a che vedere con le relazioni oggettuali  dei primissimi mesi di vita. Tali temi sono  assolutamente inconsci al paziente e possono essere riconosciuti, e ricostruiti proprio a partire dalle reazioni transferali  paziente-terapeuta.  Il paziente vive li, ora, in seduta  il rapporto che è stato con la madre quando lui aveva pochi mesi. Scrive  Klein: “«Il paziente, infatti, è portato inevitabilmente a far fronte ai conflitti e alle angosce che rivive nei confronti dell’analista avvalendosi degli stessi sistemi usati nel lontano passato. Ciò vuol dire che egli cerca di distaccarsi, ( o attaccarsi n.d a. )  dall’analista così come cercava di distaccarsi dai suoi oggetti originari». 1952 ‘Le origini della traslazione’.

Come si vede, nella teoria della Klein scompare totalmente il genere sessuale dell’analista. Egli è vissuto come un “seno” e ben si capisce quanto, secondo la teoria psicoanalitica kleiniana, sia importante che il terapeuta accolga con mente libera la richiesta di “cibo-buono” del paziente permettendogli semplicemente di crescere, come fa  una buona madre.  Ella alimenta il bambino e gli permette di diventare  ciò che  già è.

Per Jung i meccanismi del transfert sono un po’ più complessi. Non è in disaccordo con Freud e neanche con la Klein.  La sua teoria congloba queste due posizioni e va oltre. Sostanzialmente dice, si è vero, nel transfert ci sono meccanismi edipici, molti meccanismi della relazione oggettuale, madre-figlio,  ma c’è molto di più. Scrive infatti nel 1935: “ Non è affatto vero che siano proiettati esclusivamente contenuti erotici o esperienze infantili….Ogni cosa può essere proiettata, e il transfert erotico è soltanto una fra le molte. Nell’inconscio umano vi sono molti altri contenuti che sono pure di natura altamente emotiva, e che sono suscettibili di proiezione esattamente allo stesso modo della sessualità.” Da: ‘Psicologia analitica’ .

 Bene,  questi sono i presupposti teorici  per capire cos’è  la psicoanalisi e definirla  come un luogo,   dove il paziente ha la possibilità di vivere una dimensione spazio-temporale.  Essa è  il risultato delle  imago che lui ha dentro avendo però la possibilità di riconoscerle  grazie alle interpretazioni del terapeuta.  Si capisce allora quanto sia importante la consapevolezza di tutto ciò nel terapeuta stesso e quanto sia basilare la sua preparazione teorica   ma soprattutto,  come sia fondamentale  che egli conosca se stesso. E’ assolutamente irrinunciabile che lo psicoanalista abbia fatto una psicoanalisi personale.

Però su questo torneremo dopo.

Scopriamo intanto cosa succede allo psicoanalista durante la terapia.

Dice Gabbard : “Un principio fondamentale condiviso da quanti di noi esercitano la psicoanalisi  è il nostro essere sostanzialmente più simili ai nostri pazienti che diversi da loro… Medico e paziente sono entrambi esseri umani. Così come i pazienti hanno il transfert i terapeuti hanno il controtransfert. Poiché ogni relazione attuale viene a iscriversi in un panorama di vecchie relazioni, ne consegue  logicamente che il  controtransfert nel terapeuta e il transfert nel paziente sono sostanzialmente processi identici”. ‘ Psichiatria dinamica’ 2000.

Bellissimo! Così, paziente e terapeuta mettono in scena i loro filmini interni, si divertono o litigano per un’ora e poi, ognuno a casa sua?

Certo che no, almeno si spera. Ma perché no, ha torto Gabbard?

No, Gabbard ha ragione, è proprio così. Ma il tempo dell’analisi è un tempo che non va oltre la  consapevolezza e volontà del terapeuta  superando  così  il pericolo della “confusione delle lingue”. Vediamo come.

Jung va oltre l’iniziale posizione  freudiana che vedeva l’analista  come uno schermo bianco. Egli  è consapevole che l’analista non è ne può essere neutro. Scrive nel 1929:   «Non giova affatto a chi cura difendersi dall’influsso del paziente, avvolgendosi in una nube di autorità paternalistico-professionale: così facendo egli rinuncia a servirsi di un organo essenziale di conoscenza. Il paziente esercita lo stesso, inconsciamente, la propria influenza sul  terapeuta e provoca dei mutamenti nel suo inconscio: quei perturbamenti psichici (vere e proprie lesioni professionali) che sono  ben noti a tanti psicoterapeuti, e illustrano clamorosamente l’influenza  quasi chimica del paziente. Una delle manifestazioni più note di questo  genere è il controtransfert indotto dal transfert …

E allora come fare?

Qui è l’essenza della teoria junghiana.

Egli dice Il controtransfert non solo non va eliminato ma cercato, letto, per capire cosa succede li, ora, tra il paziente e il terapeuta. La lettura del controtransfert è la lettura più sicura per capire l’altro.

 Per Jung,  il terapeuta non solo non doveva cercare la neutralità con paziente ma anzi, “coinfettarsi” di lui e con lui. Egli scriveva in ‘Problemi della psicoterapia moderna’  1929: “Esistono nel rapporto fra terapeuta e paziente fattori irrazionali che operano una reciproca “trasformazione”, alla quale la personalità più forte, più stabile, dà il colpo decisivo”.

Scrive a proposito di questo meccanismo  U. Galimberti: “E’ l’antica concezione del demone della malattia : la malattia può essere trasmessa a una persona sana che, grazie alla sua salute, sottometterà il demone senza pregiudicare però il proprio benessere”. Da:   Dizionario di psicologia 2006

A quanti stanno pensando ad un mondo un po’ fantastico ma irreale, suggerisco subito di richiamare alla mente il gioco tra un padre ed un figlio.

Guardateli, se il padre è capace, entra nella mente del figlio, ne usa il linguaggio, gioca con lui, si sporca, rotola per terra, affronta “i mostri”, urla, gioisce, piange ma mai, neanche per un attimo dimentica di contenere, controllare il figlio e quello che sta succedendo.

Il padre si è  coinfettato con le fantasie del figlio ma non si è confuso, anzi, ha permesso al figlio di giocare, vincere e,  andare oltre.

Guardatelo,  madido di sudore che dice al figlio: “Su, ora basta, lavati le mani ed andiamo a tavola”.

Se così è, non c’è dubbio che il padre, l’analista, deve saper fare l’analista. Deve sapere cosa succede tra lui ed il paziente ma,  per fare questo,  deve conoscere prima di tutto se stesso.

A questo punto, vi sembra così strano che sia stato proprio Jung a proporre all’interno della prima società psicoanalitica non solo una analisi personale del futuro analista ma  una seconda da farsi con un analista diverso dal primo?

Al terapeuta viene richiesta  una formazione che non finisce mai. Come d’altro canto non finisce mai la formazione di ogni medico, di ogni padre.

di Renzo Zambello

http://www.parodos.it/psicologia/ftransfert.htm

http://www.tesionline.it/__PDF/8824/8824p.pdf

http://www.opsonline.it/printable-4861-4861.html

 

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Tags: controtransfert, transfert


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