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Trasferimento

Creato il 11 marzo 2014 da Enricobo2
TrasferimentoE' passato un mese esatto. Partivo presto la mattina, ancora buia e fredda per un inverno non ancora concluso, assonnato ed infreddolito, ma teso per l'eccitazione che, come ogni volta, mi procura l'inizio di un viaggio. Come ho già detto, anche se sempre ad ogni partenza, mi sento impreparato e rimpiango di non aver letto di più, di non avere assorbito meglio le cose che voglio andare a cercare di capire, nella realtà delle somme che si tirano alla fine, concludo che era meglio partire con la mente più bianca, meno corrotta dalle conoscenze e dagli elenchi preordinati, le liste di Eco, da cancellare ad una ad una, le aspettative che poi non trovi, fino a stimolare una ingiusta delusione. Meglio lasciarsi andare al viaggio in sé, allo stimolo casuale di quanto via via ti circonderà, prendendolo sempre come nuovo e non come atteso. Così le già tanto nominate risaie italiane che sfilavano dal finestrino un po' sporco del pullman, cercavano paragoni futuri, mostrando stoppie marce e aironi solitari, cascine apparentemente abbandonate e spoglie; in un cortile un incongruo pino che stona nel paesaggio come un McDonald in piazza del Duomo, come un bianco in Africa, come un negro in Cina. I cinesi invece quelli no, sono e vanno bene dappertutto. Sulle sponde dei canali, file di pioppi dalle membra nere e senza carne. 
L'arco delle montagne, con le cime bianche che sorpassano lo strato di foschia bassa oppure nera caligine dell'uomo inquinatore che le separa dal mondo. Facevo una considerazione ieri, proprio su questo aspetto triste delle risaie nostre. Che differenza certo, tra la sensazione (contrapposta alla allegria gioiosa che mi aspetto di trovare là dove sto andando) e la realtà pratica. Certo che alla fine è sbagliato ricordare con nostalgia i nostri campi popolati da legioni di ridenti (?) mondine e di giovani padroni dalle braghe bianche che si innamoravano di loro (generalmente ogni notte di una diversa). Sicuramente non erano tempi affatto felici e le povere risaie che troverò, anelano a trasformarsi al più presto come le nostre, ma l'animo umano preferisce lasciarsi andare al tocco poetico della nostalgia ed al fascino della natura amica, che come di certo sapete, secondo me, è una bufala pazzesca. E di bufali ne vedrò di certo parecchi. Quindi meglio lasciare da parte il bucolico per gettarsi nel tecnologico lucente degli aeroporti, quelli che ti stringono in una morsa di popolazione in movimento convulso; ma dove cavolo va tutta questa gente? In ciabatte, con ventri sguaiati e canottiere che lasciano indovinare destinazioni popolari da una parte, incravattati con le borse nere dei contratti e il tablet in consultazione perenne a progettare, a contattare per cercare opportunità, portare a casa lavoro ad imprese affamate, con operai in attesa di far partire le commesse, in bilico tra lo straordinario e la cassa integrazione, dall'altra. 
Tecnici con le valigette degli strumenti in partenza verso destinazioni esotiche in marcia verso il futuro, che sognano svaghi altrettanto esotici tra un avviamento e una approvazione definitiva dell'impianto. E poi, tutti quegli aeroporti nuovi di zecca, sembra che il mondo si sia mosso tutto insieme di colpo, lasciando solo noi coi nostri vecchi e antiquati meccanismi da terzo mondo. Il mio aereo che va in Oriente è pieno zeppo di russi scamiciati e con le infradito che vanno al mare. La classe mediobassa moscovita ha scoperto le vacanze a basso costo all inclusive e ci si è buttata con entusiasmo. Borse e borsoni come quando andavano al confine cinese a rifornirsi di vestiti ed altre merci da rivendere ai mercatini di quartiere, ma qui si va in vacanza. E' uno status sociale nuovo in cui ci si crogiuola facilmente. Senti solo parlare russo, d'accordo, è un aereo della Aeroflot e sarebbe strano il contrario. Pieno zeppo, quasi quattrocento persone e neanche un posto libero. Il sedile accanto a me è vuoto, come al solito mi illudo e invece ecco che arriva il solito gigante con cui disputerò il bracciolo per una decina di ore. Socializziamo però e si manifesta come un artista, come recita il suo santino/calendarietto: Vladimir Cherniakov, compositore, poeta e cantante di tradizione (vi metto in basso un suo brano struggente, tanto per capirci, ho fatto un giro su youtube e direi che è pure bravo).
Va a Pattaya, naturalmente a raggiungere la famiglia in vacanza, lì come tutti gli anni, dopo che hanno abbandonato la Costa Brava, troppo cara e vittima del crollo immobiliare. Trova assolutamente curiosa la mia meta e soprattutto le motivazioni del mio viaggio, a meno che non ci sia da quelle parti qualche bella spiaggia a costi inferiori  a quelli thailandesi, ipotizza. Ci sarà naturalmente come scoprirò poi, infatti e già rigurgitante di suoi compatrioti assetati di sole invernale. Beh quanto meno mi è servito per rinfrescare un po' il mio russo, che era già piuttosto claudicante di suo. La notte sulle poltroncine della economica è comunque devastante per l'anziano che è in me. Non riesco a chiudere occhio naturalmente e quando arrivo e tutti i miei vicini sciamano pimpanti verso le loro destinazioni finali, eccomi qua tutto rattrappito in cerca del gate per l'ultimo balzo finale, per questo avvicinamento che non finisce mai, con le giunture dolenti e intorpidito nel corpo e nella mente. L'atmosfera esotico/moderna di Bangkok mi ravviva un po'. Un frullato di mango e due gamberoni in tempura, probabilmente dorati visto il conto, ancor di più, le ore finali passano ed esco fuori dal tunnel finale, avvolto dall'aria umida del sudest asiatico, finalmente pronto a capire se sono arrivato a Saigon o ad Ho Chi Minh Ville. 

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