Pubblico la mia gia' segnalata intervista alla rivista Focus di febbraio (qui una segnalazione del numero della rivista sui "cervelli ibridi"). Chiarisco che quanto segue e' il testo integrale da me fornito alla redazione di Focus, ma che solo parte di esso e' poi apparso all'interno dell'articolo "La mente globale - Trasferire le menti su un computer, collegarle fra loro e diventare immortali. Possibile? Forse sì."
Le truppe d'assalto del transumanismo, oggi come oggi, sono i disabili - anche quelli che non si sono mai imbattuti in questo neologismo. Chi ha perso una gamba in un incidente vuole ovviamente tornare a camminare, e sarà disposto a sottoporsi ad interventi anche invasivi, se l'obiettivo è la riconquista della libertà di movimento. Il fronte delle protesi (e degli esoscheletri) sarà quindi il più attivo, nei prossimi anni. Le protesi diverranno sempre più sofisticate nell'interpretare i segnali del sistema nervoso e non si limiteranno agli arti: gli impianti cocleari sono già una realtà, mentre occhi bionici ed impianti visivi corticali stanno maturando nei laboratori.
Le protesi cerebrali, come quelle descritte da Faggin [il ricercatore menzionato in un altro articolo dello stesso numero di Focus], saranno il fronte successivo e porteranno all'attenzione del grande pubblico il dibattito sulla differenza fra Uomo e Macchina (il tema al centro della questione cyborg). Se ipotalamo e cervelletto saranno visti come componenti cerebrali il cui contributo alla personalita' di un individuo è relativo, la questione non potrà più essere ignorata quando sconfineremo nella corteccia cerebrale. Il giro di boa arriverà quando le prestazioni delle versioni tecnologiche di una qualsiasi parte del corpo umano supereranno quelle delle versioni naturali. A quel punto cominceremo a parlare non più solo di supporto ai disabili, ma di potenziamento umano e di libertà morfologica, e dovremo risolvere una serie di questioni etico-legali. Se una persona sana sostituisse un proprio arto con una protesi di ultima generazione, eserciterebbe un proprio diritto? Se la vittima di un esteso trauma cranico ricevesse una protesi per il 90% della propria corteccia cerebrale, sarebbe ancora la stessa persona? Se il futuro previsto da Ray Kurzweil e altri è davvero in arrivo, dovremo decidere da che parte stiamo di queste barricate.
Il passo successivo, e sarebbe un autentico cambio di marcia, sarebbe quello del trasferimento della mente su un substrato non-biologico, il cosiddetto "mind uploading". Questo è un tema caro sia alla fantascienza che ai futurologi, ma è ancor più caro ai transumanisti. Secondo alcune stime, già entro il 2025 potremmo avere supercomputer sufficientemente potenti, ma l'hardware sarebbe solo il primo passo e il software potrebbe presentare ostacoli inaspettati. La creazione di un cervello digitale, probabilmente tramite l'ingegnerizzazione inversa del cervello, introdurrebbe una serie di sconcertanti prospettive: la possibilità di creare un back-up del sè, o innumerevoli copie di se stessi; di espandere radicalmente le proprie capacità cognitive; di vivere in realtà virtuali più reali della realtà reale; di interfacciarsi con quest'ultima tramite corpi robotici; di separare le varie componenti della propria mente digitale e di distribuirle su vari server per evolversi in "infomorfi distributiti". Il che implica quel Santo Graal dei transumanismo, la sconfitta (digitale) di invecchiamento e morte. Tutto ciò, ovviamente, se e quando raggiungeremo il traguardo dell'emulazione del cervello: non dimentichiamo che stiamo parlando dell'oggetto più complesso nell'universo conosciuto.
Qualunque nuova tecnologia, pur risolvendo una serie di problemi, ne porta con sè di nuovi. In questo caso, prima ancora di quelli etico-legali a cui ho accennato sopra, i nuovi problemi saranno di carattere filosofico. La domanda è: se il cervello “uploadato” fosse il tuo, saresti tu a risvegliarti in un computer? La risposta potrebbe essere, letteralmente, una questione di vita o di morte. Per alcuni il mind uploading è la strada verso il paradiso digitale, ma per altri è un'elaborata forma di suicidio, in quanto la "persona" così creata non sarebbe cosciente, ma solo una copia-zombie dell'originale. O un altro individuo.
Personalmente ritengo che la creazione di una copia del cervello di un individuo porterebbe a due versioni del suo sè e che esse sarebbero identiche solo per un breve istante. Assisteremmo poi ad una immediata biforcazione dovuta alle diverse esperienze che accumuleranno e ai diversi substrati sui quali "gireranno". Una cosa è certa: coloro che adotteranno questi nuovi modelli di esistenza digitale dovranno adottare anche delle nuove interpretazioni del termine "persona".