2. Anticipare la riforma con i nostri comportamenti. – A questa inerzia occorre incominciare a contrapporre il maggior numero possibile di iniziative volte ad applicare fin d’ora i principi e le regole della full disclosure, anche a legislazione invariata, in attesa che un Freedom of Information Act nostrano segni definitivamente la svolta, con il pieno allineamento per questo aspetto dell’Italia ai Paesi più avanzati. Vedo un primo luogo dove questa anticipazione sarebbe integralmente possibile, con effetti dirompenti, negli enti locali – Comuni e Province – alla cui testa stia un sindaco o presidente che crede nel valore della trasparenza totale. Così, per esempio, ho salutato con grande soddisfazione il fatto che Matteo Renzi abbia inserito nel proprio programma per le primarie del centrosinistra un capitoletto sull’introduzione del Freedom of Information Act nel nostro Paese; ma ho anche osservato che Renzi è oggi sindaco di una grande città italiana; e che, se crede davvero in questo principio, nulla gli impedisce di farlo applicare in modo totale e rigoroso nell’amministrazione municipale di cui egli è il capo. Sono anche convinto che solo l’applicazione rigorosa del principio di trasparenza totale possa testimoniare la volontà dei partiti di voltar pagina in modo radicale rispetto alle malversazioni di cui abbiamo purtroppo visto negli ultimi mesi e ancora in questi ultimi giorni numerose tragiche manifestazioni, in tutto l’arco delle forze politiche rappresentate in Parlamento. Per questo mi sono battuto affinché il gruppo parlamentare a cui appartengo adottasse fin d’ora la full disclosure come principio ispiratore di tutta la propria amministrazione; una delibera in questo senso è stata effettivamente adottata dalla Presidenza del gruppo dei senatori democratici nel luglio scorso, ma a tutt’oggi non ha ancora incominciato a essere messa in pratica: spero che l’attuazione non tardi. Ma penso che tutti i partiti dovrebbero sentire la necessità vitale – prima ancora che il dovere morale – di incominciare immediatamente ad applicare questo principio, se vogliono recuperare la fiducia di una parte almeno del loro elettorato. E invece si assiste alla ridicola discussione circa la certificazione dei bilanci dei gruppi parlamentari: come se il problema fosse quello di confermare la solidità di quei bilanci (chi mai dubita della solvibilità di questi soggetti?), e non quello della trasparenza, della possibilità di controllo da parte dell’opinione pubblica su ogni voci di spesa di quel denaro, che è pubblico all’origine e resta sostanzialmente tale quando è usato per far funzionare un ente di rilevanza costituzionale, quali sono i partiti e i loro gruppi parlamentari. Occorrerebbe che l’opinione pubblica esigesse fin d’ora, con grande forza, l’applicazione di questo principio da parte dei partiti e gruppi parlamentari, così forzando anche il legislatore a disporre nello stesso senso in sede di riforma del finanziamento pubblico della politica.
3. Correggere gli eccessi e le distorsioni della cultura della privacy. – Infine, occorre che gli studiosi del diritto e gli opinionisti incomincino a sottoporre a una revisione attenta e profonda l’intera costruzione giurisprudenziale che è venuta formandosi, soprattutto per opera dell’Autorità per la protezione dei dati personali, intorno alla nozione di diritto alla riservatezza e alle sue implicazioni in materia di conoscibilità e circolazione dei dati. Ho proposto poc’anzi alcuni esempi dell’uso indebito che del principio di protezione della privacy si è progressivamente fatto nell’ultimo ventennio per evitare la trasparenza totale delle amministrazioni e impedire la circolazione di dati che nulla hanno a che fare con la vita privata delle persone. Dal principio costituzionale di protezione della persona umana si è voluto dedurre una regola di inconoscibilità dei dati inerenti alla vita delle persone, che – secondo i suoi sostenitori – dovrebbe essere considerata come regola generale, suscettibile soltanto di eccezioni ben delimitate disposte da norme legislative specifiche. Questa costruzione viene, così, utilizzata di volta in volta per affermare la non conoscibilità delle valutazioni dell’attività didattica e di ricerca dei singoli professori universitari, la non utilizzabilità dei dati di cui le scuole dispongono sulle carriere scolastiche degli studenti, o dei dati di cui dispongono le amministrazioni giudiziarie sull’attività dei singoli magistrati nell’esercizio della loro funzione, e così via. Siamo arrivati all’assurdo per cui, in nome della privacy (qui utilizzata per coprire la pigrizia degli addetti), la quasi totalità degli Istituti scolastici rifiuta di fornire informazioni sui diplomi, con i relativi voti di profitto, rilasciati ai propri ex-studenti! Credo che il danno prodotto da questa distorsione della nozione di protezione dei dati personali per il progresso civile ed economico del nostro Paese sia molto grave. In attesa di una legge che ristabilisca l’equilibrio necessario tra diritto delle persone al riserbo e libertà di circolazione delle informazioni, e di un’autorità per la trasparenza delle amministrazioni che si occupi di difendere questo equilibrio, è indispensabile che incominciamo fin d’ora a costruire nel settore pubblico la cultura della full disclosure".