“We want the look of Céline and the ethics of Patagonia,”
Di Everlane non voglio raccontare delle varie camicie, maglioni, magliette, pantaloni, cappotti, scarpe e borse dall'estetica minimale e basica che risponde perfettamente alla tendenza normcore e che li fa rientrare tra i capi che probabilmente indosserei tutti i giorni. Non che questo non mi interessi, anzi.
Ma navigando sul loro sito la mia attenzione si focalizza più che altro sul fatto che il mio prossimo paio di pantaloni è stato prodotto in fabbriche dove la sicurezza e le condizioni di lavoro degli operai vengono controllate e rispettate, e che posso sapere in modo chiaro quali sono i costi del tessuto, della confezione, le tasse e le spese di trasporto, della mia prossima maglietta bianca.
Il fatto è che alcune di queste cose sono troppo spesso date per scontate. Quando acquistiamo per esempio un top ricamato a meno di 10 euro, raramente ci chiediamo chi, come e per quanto ha attaccato a mano quelle perline e paillettes. E ancora meno spesso ce lo chiediamo davanti ad una borsa da 1500 euro.Ecco allora che l'impegno e la trasparenza di Everlane, oltre ad essere apprezzabili (ed ad avergli permesso di essere tra le aziende più innovative del 2016 insieme a Uber e Netflix), dovrebbero spingerci a farci più domande prima di acquistare un prodotto.
Negli ultimi anni la mentalità dei consumatori sta cambiando, con una maggiore sensibilità verso queste questioni e, per esempio, lo dimostra bene il successo dell'iniziativa #WhoMadeMyClothes? di Fashion Revolution, che chiedendo alle aziende di far sapere chi produce i nostri vestiti evidenzia come questo implichi apertura, onestà, comunicazione e responsabilità.
Micheal Preysman lo fa dal 2010 e con Everlane cerca di coniugare qualità dei prodotti ed etica della produzione con prezzi accessibili. L'assenza di negozi fisici, niente collezioni e quindi niente sconti gli permettono di avere prezzi al pubblico più bassi rispetto ad altri marchi, senza compromessi sulla qualità. La produzione, controllata regolarmente da degli ispettori, è dislocata in tutto il mondo: borse e scarpe per esempio sono prodotte a Vicenza e Brescia, i pantaloni, il cachemire e le felpe in Cina, mentre le cinture a San Francisco.
Il tutto puntando ad una "trasparenza radicale" e credendo in un’industria della moda che rispetti le persone, l’ambiente, la creatività e il profitto in eguale misura.
Per approfondire: questo articolo racconta bene come Everlane scelga e controlli le aziende dove produrrequi invece trovate più informazioni su Fashion Revolution