Il 30 gennaio del 1992 è il giorno dello spartiacque: la Cassazione conferma definitivamente gli ergastoli comminati dal primo Maxiprocesso che nel 1986 i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dopo anni di indagini e maxi-chiusura a Pianosa a scrivere gli atti, avevano istituito insieme al Pool di Antonino Caponnetto.
Il collante alle conferme di quanto raccolto è stato il ruolo di Tommaso Buscetta, che agli inquirenti apre un mondo fino ad allora sconosciuto. Il mondo delle regole e della struttura di Cosa Nostra divisa in mandamenti, provincie, zone e clan. Il cosiddetto Teorema Buscetta diviene così il libro attraverso cui leggere e interpretare il presente e il passato di una organizzazione criminale che aveva oltrepassato ormai i confini nazionali.
Da questo momento in poi si innescano una serie di eventi tragici che mirano a destabilizzare lo Stato. Il 23 maggio prima e il 19 luglio poi, entrambi i giudici Falcone (con la moglie Francesca Morvillo), e Borsellino vengono eliminati insieme ai ragazzi delle rispettive scorte tutti convinti di stare dalla parte giusta senza se e senza ma, come chi li ha conosciuti davvero racconta (in questo senso, il libro “Novantadue – L’anno che cambiò l’Italia” di Castelvecchi editore 2012, riporta le loro voci). Falcone lungo l’A29, autostrada che collega Palermo all’aeroporto di Punta Raisi, un intero pezzo di autostrada saltato in aria; Paolo Borsellino in Via D’Amelio sotto lo stabile in cui abitava la madre e il momento in cui sta per chiamarla, le 17.58, viene immortalato per sempre negli occhi di chi eseguiva l’operazione con il telecomando.
Sin dall’inizio le indagini vedono si in questa sequenza di fatti una strategia mafiosa, ma con la partecipazione di mandanti esterni. Tra i collaboratori di giustizia che contribuiscono a svelare la dinamica dei fatti l’ex boss Giovanni Brusca colui che ha azionato il telecomando per l'esplosivo posto sotto un cunicolo in attesa che Falcone e la sua scorta passassero.
Tuttavia la fase più critica riguarda la strage svoltasi in Via D’Amelio e quei 57 giorni che intercorrono tra la strage di Capaci e l’uccisione di Paolo Borsellino.
E’ importante che si stabilisca quando è iniziata la trattativa se prima o dopo la morte di Falcone o prima/dopo la morte di Borsellino. La trattativa intanto c’è stata, come afferma l’ultima sentenza del marzo 2012: «Venne quantomeno inizialmente impostata su un do ut des». «L'iniziativa» - si precisa - «fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia». Nel processo il boss di Corso dei Mille del mandamento di Brancaccio, Francesco Tagliavia, è stato condannato all'ergastolo per tutte le stragi del '93.
L’iniziativa che ha dato l’input alla trattativa sarebbe venuta dagli uomini del Ros nelle persone del colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno:« Decidemmo di contattare in qualche modo la mafia attraverso Vito Ciancimino per fermare le stragi» conferma De Donno, specificando tuttavia che «non ci fu nessuna trattativa.»
Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, protagonista del famoso sacco speculativo edilizio, ma soprattutto deus ex machina della DC palermitana, sarebbe stato secondo le rivelazioni anche del figlio Massimo Ciancimino, in parte suffragate dal pentito Spatuzza, il referente di Bernardo Provenzano in Sicilia e indirettamente di Totò Riina con il quale però non condivideva la strategia stragista volta a far cadere lo Stato in ginocchio.
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