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“TRATTATO DI ESTETICA IN FORMA DI PROLOGO” di José Ortega y Gasset

Creato il 04 aprile 2015 da Retroguardia
“TRATTATO DI ESTETICA IN FORMA DI  PROLOGO” di José Ortega y Gasset

[ Rassegna a cura di Francesco Sasso]

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Questo libretto di versi, che l'autore chiama El Pasajero, ci fa assistere all'esordio di un nuovo poeta, alla nascita di una nuova musa. Ad ogni istante l'aria è popolata di voci poetiche, alcune delle quali sono piene e armoniose, o quantomeno corrette; ma ben poche sono grida liriche e originali. Non siamo troppo duri verso la mancanza di originalità: adottiamo per le opere d'arte in cui non si tenta uno stile nuovo una critica appropriata. Richiediamo loro pienezza, armonia, almeno correttezza ‐le virtù dell'eternità.

Però riserviamo il nostro amore di lettori ai poeti veri, cioè agli uomini che apportano un nuovo stile, che sono uno stile. Perché questi uomini arricchiscono il mondo, accrescono la realtà. La materia, si diceva un tempo, non cresce né diminuisce; ora i fisici dicono che si degrada, che decresce. È ancora vero che non aumenta. Ciò significa che le cose sono sempre le stesse, che dal loro materiale non può venire alcun ampliamento. Ma ecco che il poeta fa entrare le cose in un turbine e in una sorta di danza spontanea. Soggette a questo dinamismo virtuale, le cose assumono un senso nuovo, si convertono in altre cose nuove.

La materia, sempre vecchia e invariabile, portata da turbini dalla traiettoria sempre nuova, è il tema della storia dell'arte. I vortici dinamici che mettono la novità nel mondo, che aumentano idealmente l'universo, sono gli stili.

Giunto al punto, per me così importante e strano, di scrivere qualche pagina introduttiva a un bellissimo fascio di poesie, non sapevo come decidermi.

Il valore caratteristico di questo libro consiste, come ho detto, nell'annunciare un poeta veramente nuovo, uno stile, una musa. D'altra parte, lo stile e la musa, in queste pagine, non fanno altro che iniziare a germogliare. Io credo che sarebbe indelicato avvicinarsi troppo ad essi per definirli. Ritengo preferibile dedicare le pagine che seguono a fissare un po' la nozione generale di stile, di musa. Da queste pagine il lettore coglierà un'emozione di rispetto verso queste prime parole di un poeta che aspira al massimo a cui si possa aspirare: ad essere se stesso.

Tuttavia sappia il lettore che queste mie pagine formano a quelle di assoluta poesia del Pasajero come un atrio di assoluta prosa. Parlano di estetica ‐che è l'esatto contrario dell'arte, ed è, o pretende di essere, scienza.

1. Ruskin, l'usuale e la bellezza

Leggere versi non è una delle mie occupazioni abituali. In generale non concepisco che possa esserlo per qualcuno. Tanto per leggere, quanto per creare una poesia dovremmo esigere una certa solennità. Non una solennità di pompe esteriori, però sì quell'aria di stupore intimo che invade il nostro cuore nei momenti essenziali. La pedagogia contemporanea sta influendo in modo deplorevole sull'ambito della cultura estetica, facendo dell'arte una cosa usuale, normale, a ore fisse. In tal modo perdiamo il sentimento delle distanze; perdiamo il rispetto e il timore per l'arte; ci accostiamo ad essa in qualunque momento, con gli abiti e l'umore che capitano, e ci abituiamo a non capirla. L'emozione reale a cui oggi ci riferiamo quando parliamo del godimento estetico è ‐se vogliamo riconoscerlo sinceramente‐ un pallido diletto privo di vigore e densità, prodotto in noi dall'assiduità con l'opera bella.

Uno degli uomini più funesti per la bellezza è stato forse Ruskin, che ha dato dell'arte un'interpretazione inglese. L'interpretazione inglese delle cose consiste nel ridurle o oggetti domestici e abituali. L'inglese aspira soprattutto a vivere bene, comodamente; il comfort è per l'inglese l'equivalente della sensualità per il francese e della filosofia per il tedesco. Orbene, il comfort, la comodità, impongono numerosissime condizioni alle cose, distinte a seconda della funzione vitale che in ogni caso si vuole rendere comoda: solo una condizione è generica, ineluttabile, e quasi una specie di a priori di ciò che è comodo: l'essere consueto. Non a caso l'Inghilterra è il paese che ha risolto il problema di avanzare senza rompere con i suoi usi antichi. L'insolito, per il solo fatto di esser tale, è scomodo.

Ruskin è riuscito a dare un'interpretazione dell'arte che ne prende solo ciò che è suscettibile di convertirsi in esercizio consuetudinario. Il suo vangelo è l'arte come uso e comodità. Questa intenzione, naturalmente, può consentire di rendere comprensibile solo quelle arti che di rigore non sono tali: le arti industriali o decorative. Ruskin si ostina a introdurre la Bellezza nella severa, placida dimora inglese: per questo deve prima addomesticarla, debilitarla, dissanguarla. Così, ridotta a un fantasma, ridotta ad aggettivo, la conduce per le onorate case dei cittadini britannici.

Io non dico che la decorazione o l'industria artistica siano prive di bellezza: dico solo che la loro bellezza non è solo bellezza ‐è utilità riverniciata di bellezza, ritoccata di bellezza: è acqua con qualche goccia bacchica. Il fatto è che l'uomo contemporaneo si è abituato a non chiedere alla bellezza emozioni più profonde di quelle suscitate dalle arti industriali, e se fosse sincero confesserebbe che il godimento estetico non è un piacere diverso da quello prodotto dalle cose un po' rassettate e messe in bell'ordine.

Sarebbe prudente liberare la Bellezza da questa guaina decorativa in cui la si vuol tenere, e che un'anima acciaiata torni a far brillare al sole i suoi pericolosi fulgori.

Questo buon XX secolo, che ci porta nelle sue forti braccia dai muscoli tesi, sembra destinato a rompere con alcune ipocrisie, insistendo sulle differenze che separano le cose. Sentiamo che dalla radice del nostro animo sale come una volontà solare, nemica delle visioni crepuscolari dove tutti i gatti sono bruni. La Scienza non sarà per noi un senso comune sostenuto da strumenti di misura, né la Morale sarà un passivo buon nome della nostra attività in società ‐né la Bellezza un buon portamento, semplicità o compostessa. Tutte queste cose ‐senso comune, buon nome civile, portamento‐ vanno benissimo, non abbiamo niente contro di loro, ci disgusterebbe chiunque le disprezzasse. Ma Scienza, Morale e Bellezza sono cose diverse, che non gli assomigliano affatto.

Leggere poesie non è una delle mie occupazioni abituali.

Io ho necessità di bere acqua in un bicchiere pulito, ma non datemi un bicchiere bello. In primo luogo, ritengo molto difficile che un bicchiere per bere possa, rigorosamente parlando, essere bello; ma se lo fosse, io non potrei portarmelo alle labbra. Mi sembrerebbe, bevendone l'acqua, di bere il sangue di un simile ‐non di un simile, ma di un identico. O mi occupo di placare la sete, o mi occupo di Bellezza; un termine medio equivarrebbe a falsificare entrambe. Quando avrò sete, per favore, datemi un bicchiere pieno, pulito e senza bellezza.

C'è gente che non ha mai avuto sete, quel che si chiama davvero sete, vera sete.

E c'è chi non ha mai sofferto l'esperienza essenziale della Bellezza.

Solo così si spiega che qualcuno possa bere in bicchieri belli.

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