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Non capisco perché, ad un certo punto della vita, si senta la necessità di conoscere le proprie origini, di ripercorrere la strada dell’esistenza a ritroso, come se lì ci fossero tutte le risposte alle domande sul proprio essere. Non credo che la verità sia tutta lì, ma credo che il cervello di un bambino sia una specie di pasta modellabile, fatta di strati sovrapposti, prima uno strato poi un altro e così via fino a diventare un unico corpo. Gli strati che si aggiungono non cancellano i precedenti, ma vanno a creare una sorte di massa in continua evoluzione che interagisce con il materiale che man mano vi si deposita. Me lo immagino come un deposito, questo luogo, dove la maggior parte delle persone ha paura di entrare o ne ignora completamente l’esistenza. Bisognerebbe invece entrarci di tanto in tanto, se non proprio per far pulizia per ritrovare noi stessi e capire a che punto siamo arrivati nel cammino della nostra vita. La cosa che ci frega un po’ tutti è che con il passare del tempo, questa pasta perde l’elasticità iniziale e per noi diventa sempre più faticoso adattarci alle situazioni, come se la tolleranza e la disponibilità fossero inversamente proporzionate alla massa plasmabile. Il mio ex marito mi diceva sempre di provare a spostare quella tenda che m’impediva di entrare in contatto con la vera me stessa. Io ci provavo, ma avevo diciotto anni e più che cercare di spostare mentalmente quella tenda non riuscii a fare altro, perché non riuscivo a trovare niente oltre a quello che sentivo di essere. Lui mi rassicurò sostenendo che è una pratica che s’impara con l’età. Invece io credo semplicemente che a diciotto anni si è ancora profondamente in contatto con se stessi e non si ha bisogno di spostare nessuna tenda. E’ con il tempo che si accetta di vivere con i compromessi, e se sono troppi, arrivi a non conoscere più il punto esatto dove finisci tu e inizia il tuo apparire. Ed è in questo momento che senti la necessità di ritrovare i tuoi diciotto anni, i tuoi pensieri puri, i tuoi entusiasmi, vorresti cominciare ad alzare quegli strati uno alla volta e analizzare le incisioni una per una. Ma per una strana legge che non conosco, ti accorgi che nulla è più uguale a prima, che tutto è stato stravolto, che tutto ciò che aveva un senso assoluto prima ora non sono che stupidaggini e al contrario ciò che credevi stupidaggini hanno segnato la tua anima. Adesso, sulla soglia dei quaranta anni sento il bisogno di spostare quella tenda per riuscire a vedere cosa c’è dietro, o meglio, dentro me stessa, ma man mano che vado avanti ne trovo mille di me stessa, diversa a secondo delle situazioni, degli stati d’animo, delle persone con le quali ho a che fare. E’ mancanza di coerenza oppure è un esercizio che serve per la nostra sopravvivenza, esercizio che poi diventa parte di noi?