Travolti da un insolito destino...

Creato il 26 maggio 2010 da Ilgrandemarziano
Anche i marziani hanno le loro debolezze e non fanno grossa fatica a parlarne. Certo quando le debolezze provengono dal vostro pianeta, è un tantino più imbarazzante per noi ammetterlo. Ma tant'è ormai, visto che c'è un rapporto speciale con voi, vuoterò il sacco. Ebbene sì, sono un fan di Lost. L'ho detto. E adesso che Lost è finito, mi sento un po' strano, come quando ti si arricciano le antenne, non so se avete presente. Dubito. Tuttavia non voglio aprire una discussione sul The End (per quello mi riservo un post a parte). No. Voglio dirvi, invece, perché questa volta non ho paura a uniformarmi consapevolmente a milioni di appassionati. In genere è intellettualmente più vantaggioso (e sicuro) assumere il ruolo del bastian contrario, del non-allineato, del dissidente. È la minoranza insomma che può fregiarsi della detenzione del potere illuminato, disincantato e sovversivo della critica, che non segue pedissequa la massa del gregge (televisivamente) globalizzato. Ma per quanto mi sforzi, con Lost non ce la faccio. E voglio provare a spiegare in poche righe perché, soprattutto a voi, che non l'avete mai visto, o di cui vi è capitato di guardare due puntate, dopodiché avete scosso la testa e avete detto: «Ma che cazzata!» E l'avete piantata lì.
È probabile che in più d'un posto abbiate letto che Lost ha cambiato il modo di fare e vedere fiction in TV. Che Lost non è "un" telefilm, ma "il" telefilm. Che non si potrà più parlare della storia della televisione non solo senza nominare Lost, ma anche senza metterlo in cima alla lista dei programmi che hanno contribuito a plasmarla, la storia, a reinventarla, un po' come accadde al mitico Ai confini della realtà tra la fine degli anni '50 e l'inizio dei '60. Ma se non l'avete mai visto, Lost dico, vi starete chiedendo come ciò sia possibile, oppure starete dicendo che noi - Lost addicted - siamo tutti pazzi, ingenui, immaturi, nerd, dissociati, disadattati ecc. e che un umano normale (figuriamoci un marziano) non se ne starebbe lì sei anni, puntata dopo puntata, a inseguire le improbabili avventure di un branco di improbabili sopravvissuti a un improbabile incidente aereo su un'improbabile isola con improbabili abitanti e improbabili energie nascoste assortite. Il punto è che, come spesso accade nei bei romanzi moderni, non è tanto il cosa, ma il come. La potenza di Lost infatti non sta tanto nelle idee "mirabolanti" che pur ci sono e fungono da potente motore della narrazione (e io stesso sono convinto che Lost sia l'apoteosi televisiva dell'applicazione del concetto di "mistero", per quanto questo possa valere e quanto possa essere, naturalmente, discutibile) quanto piuttosto nel modo con cui sono state narrate e quanto questo significhi nell'economia del disegno generale.
Se fosse stato solo per i misteri, trascinati - anzi moltiplicati - episodio dopo episodio, rimasti quasi intatti fino alla Stagione Sei e quasi tutti addirittura oltre il The End, lo spettatore si sarebbe stufato ben presto. Lost invece, complice una lungimiranza e una capacità degli autori senza dubbio non facile da mettere in pratica nell'ambito di una produzione televisiva che ha tempi e modi molto serrati da rispettare (questo aspetto non bisogna mai perderlo di vista), annega i misteri dentro le vite dei protagonisti che dunque non sono più i classici burattini comandati dai fili dell'avventura, ma partecipano con le loro vite all'avventura stessa, perché convocati esplicitamente (ancorché nolentemente) da essa. Esattamente come la chiamata di tutti noi a vivere su questa Terra. Così non solo l'avventura e il mistero diventano parte della vita di Jack e soci, ma la vita di Jack e soci diventa metafora profonda di tutte le vite umane alle prese con l'avventura di scoprire perché siamo qui, che senso ha tutto ciò che ci circonda - che a ben vedere sembra non averne nemmeno uno, proprio come l'Isola -, qual è il nostro ruolo nell'ambito del destino, se siamo davvero liberi di scegliere la nostra strada, che cosa sarebbe successo se in determinati momenti delle nostre vite avessimo svoltato a destra invece che a sinistra, che è il viaggio a essere fondamentale e non la meta, che tanto quella è uguale per tutti, che c'è sempre un modo per riscattarsi finché non è finita, e perché bisogna farsi una ragione che a certe domande si può rispondere solo con altre domande, in un domino senza fine che non lascerà mai l'essere umano davvero soddisfatto.
Il modo e lo stile (e il coraggio degli autori che - bisogna ammetterlo - è sfociato anche nell'impertinenza o a tratti in un'irritante sfacciataggine) diventano dunque cruciali, perché le esistenze dei tantissimi protagonisti sono intrecciate e non sono mai del tutto indipendenti. Perché sulle medesime cose ognuno ha prospettive differenti. Perché il bene e il male, il buono e il cattivo, il bianco e il nero, non esistono mai come entità sole e separate, a dispetto di quello che sembra, e chi fino a un minuto credevi "dei-nostri", non è detto che non tiri fuori una pistola e faccia fuori un paio dei tuoi, e chi credevi "pezzo-di-merda" potrebbe anche aiutarti a salvarti la pelle all'ultimo secondo. Perché sull'isola anche un protagonista ci può lasciare le penne senza preavviso, da un momento all'altro, lasciandoti col respiro a metà, come un amico in un incidente d'auto, il sabato sera, dentro la notte nera come fumo. Perché il destino è quello che è, o forse no, ma bisogna comunque trovare il coraggio di seguirlo fino in fondo. Perché a volte ci si trova a doversi sacrificare, ma farlo in due è una benedizione. Perché vincere alla Lotteria non è detto che basti e perché puoi anche essere un grandissimo pezzo di gnocca, ma questo non deve essere sufficiente per salvarti le chiappe. Perché perché perché...
Insomma, alla fine le esegesi pignole e puntuali (e fini a se stesse) vorrei lasciarle ai filosofi in cerca di gloria e ai ghost writer degli autori di manuali televisivi, e quelle di certo ce ne saranno in abbondanza. A me è bastato il viaggio. Che non è niente, sia chiaro, però qualcosa deve pur avere lasciato, se ho sentito il bisogno di scriverci sopra qualcosa, come un'orazione funebre, come per cercare di elaborare un lutto o di esorcizzare un fantasma sul cadavere ancora caldo. Forse lo scoprirò piano piano, che cosa era, o forse non lo scoprirò mai. Non è importante. L'importante, adesso, è trovare un'altra isola.
Ah, comunque il finale è una cagata pazzesca.

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