Come anche il lettore casuale avrà capito, io viaggio poco. Non che viaggiare non mi piaccia, ma è che qualsiasi punto d’italia è diventato praticamente impossibile da raggiungere vivendo sul “litorale basso ionico”.
A tal proposito sono maestra di valige ultraleggere, che tornano ottime quando si deve correre come dei pazzi forsennati tra i sottopassi delle stazioni, fare code interminabili alle biglietterie, camminare per ore nelle città aspettando l’orario della partenza, perché i treni per il Sud partono solo di notte, come quelli dei carcerati.
In una occasione da valigia ultraleggera mi capitò di dover passare una giornata intera a Bologna. Come tutti gli infervorati amanti dell’arte ho cercato mostre e musei, e sono approdata a MamBO, il Museo di Arte Moderna di Bologna. In una delle prime sale c’è l’enorme tela dei Funerali di Togliatti di Renato Guttuso.
Il quadro a me non piace molto, non mi piace lo stile di Guttuso. Lì per lì ciò che mi colpì immediatamente furono le dimensioni della tela e le mille –silenziose- bandiere rosse, non garrenti al vento ma quasi flosce e a mezz’asta.
Pur col timore di far scattare l’allarme mi sono avvicinata quanto più possibile al quadro per coglierne i dettagli. Ovviamente l’occhio viene immediatamente catturato dalla salma di Togliatti deposta su un letto di rose.
Ma che rose! Le avrei riconosciute ovunque e in ogni situazione.
Non ebbi allora parole per esprimere la mia incredulità e non le ho tuttora. Vorrei volare come Mercurio per portare la notizia a tutto il mondo creato e oltre.
Non c’è che un modo per dirlo: erano –sono- le rose del catalogo Stassen.
Se conoscete anche solo un po’ il mondo del giardinaggio e avete un’età di almeno quarant’anni, ricorderete il catalogo Stassen che, come un Postalmarket di fiori, vendeva rose e bubi per corrispondenza.
Durante gli anni ’80 il catalogo Stassen veniva distribuito più o meno come l’elenco del telefono. Ogni famiglia ne aveva almeno uno da qualche parte in casa, e non appena facevi un acquisto non ti mollavano più. Le piante per lo più arrivavano in pessime condizioni, morenti o già morte, ma questo non ne ha diminuito la diffusione, anzi, il catalogo si è ingrandito col tempo ed ora si chiama Bakker (le cui abitudini sono rimaste immutate).
Acquistare rose dalla Stassen era il più delle volte una follia economica, riservata ai maniaci dei fiori, a chi voleva in giardino una varietà particolare con colori inusuali o fiori molto grandi. Il risultato è che ora la ‘Blue Moon’, varietà di punta del catalogo, è in pratica ubiquamente diffusa dalle Alpi alle Piramidi.
Come non ricordare quelle rose, tutte HT (Hybrid of Tea), grosse come teste di cavolo, dai colori sgargianti, carichi e ritoccatissimi? Rosso semaforo, giallo segnale, verde foresta, rosa magenta, blu cielo e viola profondo.
Tutte attorno alla testa di Togliatti.
Le rose Stassen o similari hanno invaso le cittadine di provincia italiane, e finché le rose furono anche piante da taglio e i fiorai non erano così diffusi, tutto andava benone.
“Fammi povera e ti farò ricco”, si diceva, e le rose venivano annualmente potate fin quasi al livello del terreno, con il risultato di avere rami lunghi e fiori grandi. Per tutti erano quelle “le rose” (e per moltissimi lo sono ancora), erano le uniche rose viste, conosciute e coltivate.
Finché non è arrivata la moda delle antiche spampanate e delle inglesi a coppa profonda e le HT sono state declassate a rose di serie B, stigmatizzate come “rose steccose”, buone solo per Grandi Madri Massaie Mediterranee o per sine nobilitate.
I giardinieri rispettabili si sono trovati a dovere eliminare le vecchie HT “brutte e rigide” e sostituirle con i delicati cromatismi delle morbide antiche, soavemente disordinate, e delle inglesi, modernissime ma dall’aria “vintage”, profumate di spezie e con un corpo da modella.
Le rose di Togliatti insomma hanno finito per indicare il gusto peggiore e inemendabile in giardino, quello che di solito si abbina al tappeto erboso e alle sculture di gesso di ninfe improbabili.
Considerate oggi un niente, quasi un orrore di natura (o di Photoshop), Guttuso gli restituisce, senza volerlo, pensarlo o prevederlo, dignità artistica.
Inintenzionalità dell’opera d’arte.
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