Una sola parola riesce a descrivere, a mio avviso, l’ultimo romanzo di Giorgio Faletti, Tre atti e due tempi, edito Einaudi, diverso. Diverso nello stile narrativo, nella trama, nei contenuti e anche nelle emozioni. Narrando e descrivendo Asti, e il mondo del calcio di serie B, Faletti si avvicina notevolmente al noir Italiano, quello di Lucarelli, quello dove oltre ad immaginare il paesaggio ci sembra di sentire odori e sapori, particolarità di provincia.
Se l’aspettativa del lettore rimpiange Io Uccido rimarrà delusa, ma ritengo che sia parte della vita di uno scrittore cambiare e sperimentare; se in partenza Faletti ci aveva abituati con thriller mozzafiato dai contorni hollywoodiani, Tre atti e due tempi è un romanzo breve dai toni nostalgici, non riesco a definirlo un thriller o un giallo, anche se cattivi e morte non mancano, sembra una riflessione sul passato e sulle tante possibilità del futuro, possibilità variabili a seconda delle scelte di ognuno di noi.
Silver è un ex pugile, ex detenuto, ex marito, un uomo silenzioso che osserva e comprende molto più di quanto i suoi ignari attori possano immaginare, ma c’è solo un protagonista che gli interessa, suo figlio, un estraneo capace di scuoterlo e farlo affrontare incubi che credeva di essersi lasciato alle spalle.
Corruzione e mondo del calcio, assieme alla solitudine di chi ha sbagliato per sempre, sono i grandi protagonisti del romanzo, a tratti un po’ lento ma ricercato e curato nel dettaglio.