Tre cuori
di Benoit Jaquot
con Charlotte Gainsbourg, Chiara Mastroianni, Benoit Poelvoorde, Catherine Deneuve
Fracia, 2014
genere, drammatico
durata, Francia
Anche con Tre Cuori, presentato in concorso alla settantunesima
edizione della mostra internazionale d’arte cinematografica del Festival di
Venezia, Benoit Jacquot non ha ottenuto grandi riconoscimenti, riscuotendo anzi
più fischi che applausi.Se nella volontà
del regista l’opera avrebbe dovuto essere costruita sull’affascinante
commistione del melò e del noir, nei fatti le note vibranti di questi
due generi, tanto onorati dalla tradizione francese, non impreziosiscono il
tessuto narrativo di Tre Cuori, che
se ne esce piuttosto come un dramma borghese non del tutto convincente. Come il titolo
suggerisce, la vicenda scivola attorno a un incestuoso ménage a trois che vede coinvolte Sylvie
(Charlotte Gainsbourg)e Sophie (Chiara Mastroianni) due
sorelle, co-proprietarie di un negozio di antiquariato che hanno ereditato
dalla madre (Catherine Deneuve), che come loro vive in una graziosa città di
provincia nel sud della Francia.
Il terzo lato del
triangolo è Marc Beaulieu (Benoit
Poelvoorde) , un uomo che ama le donne –ma che con il
Bertrand Morane di Trauffaut ha ben
poco da spartire– e conduce un’esistenza triste e solitaria, resa ancora più
angosciante da un infarto cui è miracolosamente scampato. I problemi cardiaci
lo costringono a giornate tranquille senza grossi sbalzi emotivi.
Ma se una sera d’inverno
incontrasse per la strada una giovane donna, sola come lui? I due, attratti
reciprocamente, passeranno una notte intera parlando il meno possibile di loro
stessi, incapaci di mettere in gioco le rispettive personalità.
In accordo con una
concatenazione di eventi alla Sliding Doors
–ma non altrettanto riuscita–, Marc
e Sylvie mancheranno di vedersi all’appuntamento che avevano fissato, per reincontrarsi
poi, dopo parecchi anni, in veste di cognati.
Se il gioco del
fato sulle loro piccole esistenze risulta troppo accentuato, tanto da far
cadere la trama in mano alla più bieca causalità, mentre invece una certa
casualità logica sarebbe stata benvenuta, alcune ellissi narrative contribuiscono
a rendere la storia poco credibile.
Se non altro
questa volta Benoit Jacquot si
concentra su un uomo e non più una donna, di cui studia la fenomenologia d’amore. Marc infatti, soffre
di cuore non solo da un punto di vista medico, ma anche emotivo.
Abituato a
condurre le relazioni con la stessa freddezza e distacco che adopera nel lavoro
come esattore del fisco, si adagia di buon grado alla routine e all’anestesia
sentimentale che una monotona vita familiare in una piccola città di provincia
gli offre.
Il malessere, per
lui come per le donne del film –non da ultima l’impassibile madre che osserva e
comprende ma non scende mai in campo– deriva da una sorta di diseducazione
sentimentale.
In questo senso
come una colonna sonora a tratti inquietante e atmosferica suggerisce, il tema
d’amore quale sfortunata vicenda che si abbatte impetuoso, diviene presagio di
terribili conseguenze.
Ottima la scelta di
incastrare nello stesso fotogramma i volti dei due interlocutori, imbrigliandone
i sentimenti e indagando da vicino gli impercettibili movimenti del volto e
della loro sfera intima, mentre la saltuaria presenza della voce narrante
risulta un po’ slegata e approssimativa.
Erica Belluzzi