Magazine Cultura
Anno di prima pubblicazione: 2009
Genere: romanzo
Paese: Francia / Senegal
“Grazie alla potenza creativa di Marie NDiaye, l’Africa clandestina entra a pieno titolo nella letteratura francese. Dalla porta principale”, scrive “Vogue” in un endorsement riportato nella quarta di copertina. E’ un tentativo innocente di fare un complimento alla scrittrice, ma alle mie orecchie suona un po’ distorto. Perché Marie NDiaye ha vinto il Premio Goncourt con questo libro, ergo è entrata nel novero della letteratura francese. Altrimenti sarebbe rimasta nel limbo della letteratura… E qui mi blocco. Nel limbo della letteratura francofona? No, perché la letteratura francofona è quella scritta nei paesi in cui si parla francese come lingua materna e veicolare, ad esclusione della Francia (anche se questa è di fatto un paese francofono, che confusione!). Invece Marie NDiaye è nata e cresciuta in Francia. A tradirla solo un padre senegalese, con cui lei ha vissuto ben poco, e che le ha regalato, oltre al colore della pelle, anche quel bel cognome con la doppia iniziale maiuscola. L’Africa d’altronde è entrata nel seno della letteratura francese (o francofona?) molto tempo fa con scrittori come Tahar Ben Jelloun. Sarebbe rimasta nel limbo della letteratura etnica? Il limbo della letteratura della migrazione? Ma Marie NDiaye non è emigrata, l’ha fatto suo padre semmai. Beh, mi dico, se è limbo è limbo, non ha nome, non si può definire. Se non vinceva il Goncourt, forse rimaneva nel limbo della non-letteratura francese.
Tre storie, interconnesse in maniera talmente sottile da risultare praticamente come tre racconti lunghi ben distinti, ambientate a cavallo tra Francia e Senegal. E’ così che si presenta “Tre Donne Forti” al lettore. Nella prima storia, Norah, seppur riluttante, raggiunge il padre in Senegal. L’uomo, che si è sempre dimostrato insensibile e indifferente verso le figlie, vive ora in ristrettezze economiche nella grande casa mai terminata, sostenendo che la seconda moglie e l’adorato unico figlio maschio sono “in viaggio”. La realtà è ben diversa e Norah se ne accorge da alcuni dettagli inquietanti, non da ultimo il fatto che il padre dorme tutte le notti arrampicato su di un grosso albero corallo. Ed ecco la prima donna forte. La seconda invece, ci viene narrata attraverso gli occhi di Rudy Descas, ex professore di lettere in un liceo di Dakar costretto a tornare nella sonnolenta provincia francese di cui è originario dopo un episodio increscioso. Lo seguono in Francia la moglie senegalese Fanta e il figlioletto. Descas, ridotto a vendere cucine rustiche, si sente terribilmente in colpa per aver portato Fanta in una realtà così diversa da quella che aveva pianificato. Talmente al verde da non potersi nemmeno permettere un cellulare e ossessionato dalla possibilità di perdere la moglie, si sente un fallito, non realizzando che è il peso del suo passato che ad opprimerlo più che lo squallore del presente. Fanta, dunque, è la seconda donna forte, anche se solo intravista attraverso gli occhi del marito. Per la terza storia ci trasferiamo di nuovo in Senegal, dove Khady Demba, rimasta vedova giovanissima e per di più senza figli, viene scacciata dalla famiglia del marito e tenta di emigrare clandestinamente, quasi inconsapevolmente, senza sapere che cosa l’aspetta. Nonostante le sofferenze, tuttavia, mantiene quell’orgoglio e quella fierezza che l’avevano sempre contraddistinta: “perché sono io, Khady Demba”, contuna a ripetersi durante il viaggio. Un romanzo ineccepibile, realista e disincantato, ma su cui allo stesso tempo aleggia un’ombra di mistero e cose non dette. Perché il padre di Norah dorme su un albero o com’è andata veramente quella volta che il padre di Rudy Descas ha accoppato il suo socio sono cose che sta a noi interpretare, come nei migliori racconti. La psicologia dei personaggi non è esplicitata, ma piuttosto suggerita ed è forse questo che contraddistingue di più la scrittura di Marie NDiaye. Ma non aspettatevi esotismo: né gli splendidi drappi con cui si avvolgono le donne africane né i sapori piccanti della cucina africana sono nelle corde di questa scrittrice. D’altronde per lei l’Africa risulta una terra soprattutto arida, estranea e crudele non meno della periferia francese dove è cresciuta e che ci descrive spietatamente nel secondo episodio.
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