Krzysztof Kamil Baczynski
Krzysztof Kamil Baczyński
Nacque a Varsavia il 22 gennaio 1921. Poeta. Nel 1943 iniziò gli studi di filologia polacca all’Università clandestina di Varsavia, e nello stesso anno si arruolò nell’Armia Krajowa (Armata Nazionale). Terminata la Scuola per Allievi Ufficiali fu destinato al battaglione “Zośka” e successivamente al “Parasol”. Collaborò con le riviste clandestine “Płomienie” (Fiamme) e „Droga” (La strada). Nella sua breve vita pubblicò le seguenti raccolte di poesie: Zamknięty echem (Chiuso come l’eco, 1940), Dwie miłości (Due amori, 1940), Modlitwa. Matce (Preghiera. A mia madre, 1942), Wiersze wybrane (Poesie scelte. 1942), Arkusz poetycki n. 1 (Foglio di poesia n.1, 1944). Dopo la guerra uscirono tra l’altro: Śpiew z pożogi (Canto dell’incendio, 1947) e Utwory zebrane (Raccolta di opere, 1961).
La sua poesia, malgrado i forti legami col tempo di guerra, ha un respiro universale. Temi frequenti sono l’anima e la psiche dell’uomo, la riflessione sulla giovinezza e sulla maturità, la ricerca dei valori fondamentali della vita adulta. Krzysztof Baczyński spesso nei suoi versi usa il plurale, parlando a nome suo e della sua generazione. Mostrò la guerra piena di immagini oniriche e simboliche, nella sua furia distruttrice dei valori morali finora esistenti. Il tono della sua poesia è differenziato: accanto a poesie riguardanti le esperienze belliche, troviamo anche quelle indipendenti da esse, ricche di speranza e di bellezza.
Fu ucciso il 4 agosto in una piazza di Varsavia, durante l’Insurrezione. Stanisław Pigoń, storico della letteratura polacca, dopo aver appreso la notizia della morte di Baczyński, disse: “E’ una nostra peculiarità combattere il nemico coi brillanti…”
Due poesie di Krzysztof Kamil Baczyński tradotte da Paolo Statuti
Aprirò per te il cielo aurato…
Aprirò per te il cielo aurato
ov’è il filo quieto del candor,
e il cielo come guscio smisurato
di suoni, scoppierà per ancor
vivere nelle foglie di raso,
nel canto dei laghi e dell’occaso,
finché l’alba uccellinea scoprirà
il suo latteo cuore.
Muterò per te la terra dura
nel volo leggero del pappo,
estrarrò l’ombra dalla natura,
l’ombra che s’arcua come un gatto,
col pelo lucente tutto avvolgerà
nelle tinte del turbine, e porrà
nell’ordito d’un piovasco.
E dell’aria i ruscelli frementi
come fumo da un casolare
muterò per te in viali fiorenti,
nel fluido canoro delle chiare
betulle che intoneranno il canto –
come viole prese dal rimpianto –
d’un fervido alveare.
Soltanto, questo mio sguardo svuota
del vetro penoso – figura
dei giorni, che i bianchi teschi ruota
per l’accesa dal sangue radura.
Soltanto, il tempo storpiato trasforma,
i sepolcri con il fiume adorna,
della lotta la polvere togli,
di questi anni folli
polvere scura. (1943)
Elegia
Nuvole volatili, vele di slanci, degli alberi amiche
nelle volte celesti.
La testa si china sulle mani ruvide, testa dolente,
bramano le braccia.
L’uccello che vola sotto di voi è il mio cuore,
scuro, alto.
Come posso fuggire verso i boschi dorati all’angoscia,
uccelli-nuvole?
Come posso tornare pieno di tristezza, non ultimato,
nel vostro volo e fluidità?
I palmi forati, la croce mi segue,
della morte il dovere.
Così questa argilla non plasmata si accumula, le pietre,
le città bruciano.
Son io forse la propria tomba sulla terra,
la propria speranza?
Silenziose nuvole! di nuovo mi superate, luci scorrenti,
ombre lontane.
Vi chiamerò fede. Voi mi chiamerete carcassa di tristezza,
bara, uomo.
(Settembre 1942)
Jozef Czechowicz
Józef Czechowicz
Nacque il 15 marzo 1903 a Lublino. Poeta, prosatore, drammaturgo, critico, traduttore. Nel 1920 prese parte alla guerra polacco-bolscevica. Studiò all’Istituto di Pedagogia Sociale a Varsavia e lavorò presso l’Istituto per Ciechi e Sordi. Fu uno dei creatori e redattori della rivista letteraria d’avanguardia di Lublino – “Reflektor”, dove debuttò come prosatore con Opowieść o papierowej koronie (Racconto di una corona di carta, 1923). Nel 1930 si recò a Parigi con una borsa di studio del governo polacco, ma dovette tornare a Lublino a causa di una malattia agli occhi. Negli anni ’30 fu uno dei principali poeti e animatori della seconda Avanguardia. Nelle sue opere espresse le inquietudini catastrofiche e metafisiche degli anni tra le due guerre. Subì l’influenza del surrealismo e del simbolismo, ma restò fedele alla tradizione della poesia romantica polacca (Norwid, Słowacki) e popolare. Nel 1939 iniziò la sua collaborazione con la sezione letteraria della radio polacca, scrivendo diversi radiodrammi. Fu il primo traduttore polacco di T. S. Eliot. Morì il 9 settembre 1939, nono giorno di guerra, a Lublino, durante un bombardamento.
Tra le raccolte di poesia ricordiamo: Dzień jak co dzień (Un giorno come ogni giorno, 1930), Ballada z tamtej strony (Ballata di quelle parti, 1932), Stare kamienie (Vecchie pietre, 1934), W błyskawicy (Nel lampo, 1934), Nic więcej (Niente di più, 1936), Nuta człowiecza (Nota umana, 1939).
Tre poesie di Józef Czechowicz tradotte da Paolo Statuti
Nei pressi della stazione centrale di Varsavia
dalle finestre bagliori
nel nichel il buffet regnava
la fontanina dei fiori
verso il soffitto sprizzava
ondeggian là le tendine
sfondo all’ombra dei grassoni
nell’alba avvolta di brine
e nell’ora dei lampioni
alcolica sinfonia
fughe di verdure e pane
sonate nell’agonia
serpeggia una viva fame
una fame latra sputa
un’altra spezza le dita
una terza cosa fiuta
nell’androne intimorita
facce della fame irsute
dai molti occhi diversi
son le lune decadute
di abbandonati universi
tossiscono sopra il pelo
di una sciarpa logorata
per esse io vi rivelo
Gerico sarà annientata
(1939)
Rimpianto
la testa che imbianca e splende come doppiere
quando trasvolano i nastri argentei dei venti
porto nelle profondità
delle stradine capinere
trillano è poco va’
andare guardando sogni festini scene
di sinagoghe i vetri in frantumi
fiamme fameliche grosse gomene
fiamme d’amore
nudi
udir dei popoli affamati la furia
che dal pianto d’ogni affamato è diversa
annotta sul mondo si sente
vicina la rossa mungitura
dopo il diluvio ardente
chi sei sarà la nostra richiesta
mirabilmente per tutti noi moltiplicato
sparerò a me stesso e morirò più volte
io dentro il solco con l’aratro
io tra i codici giurista
dal grido gas soffocato
io assopita nel timo
e bambino torcia umana
e colpito nei portici
e incendiario impiccato
io nera croce nella lista
o mietitura di rombi e di lampi
potrà il fiume togliersi la ruggine del sangue dei fratelli
prima che i pilastri delle città si risolleveranno
giungerà allora un turbine di uccelli
un’ala frullerà la testa sfiorando
va’ va’ oltre
(1939)
Nel paesaggio
il fruscio dei castagni in basso il canto marino
si spengono al crepuscolo le candele degli alberi in fiore
la strada nel bosco in faccia al sole s’indora doppiamente
di fruscio e di sera scuriscono i recessi
dondolandosi come erba rigogliosa
le ragazze snelle sui cavalli
un colle all’incrocio dei viottoli
là una cappellina fresca come corallo
nella penombra una croce là un angelo
gli ex voto abbandonati dei pescatori
una stagione dimenticata da tempo
in un vaso spezzato è ammuffita la morte dei papaveri
il mare mormora i castagni
i cavalli con gli zoccoli intorbidano l’oro sull’acqua
di quelle che vanno una ha alzato la mano
e dà il segnale movendolo in aria come remo
perché è rimasto presso la cappella un puledro smarrito
ha guardato dentro ha toccato col morbido labbro la porta
ha nitrito puerilmente in alto non si sa che cosa
Tadeusz Gajcy
Tadeusz Gajcy
Nacque a Varsavia l’8 febbraio 1922. Poeta, prosatore, drammaturgo, critico letterario. Dal 1941 studente di filologia polacca all’Università clandestina di Varsavia. Fu co-fondatore e redattore del mensile letterario “Sztuka i Naród” (Arte e Popolo), dove publicò molti suoi articoli. Raccolte poetiche: Widma (Spettri, 1943). Grom powszedni (Fulmine quotidiano, 1944). Nel 1952 uscì una raccolta di sue opere. Cominciò a scrivere già sedicenne, ma in seguito distrusse i suoi versi giovanili. Negli anni 1938-1939 comincia a trattare seriamente la sua poetica. E’ evidente in essa il desiderio di capire il mondo in senso filosofico, il destino e la vita dell’uomo. Prevale un tono riflessivo, pessimistico, a tratti ribelle, ma non mancano accenti positivi. Ciò che soprattutto distingue la poesia di Gajcy da quella di altri poeti di quel periodo è il modo diverso, unico di descrivere la brutale realtà della guerra. Le sue opere abbondano di insolite metafore, di ardite associazioni con la lingua corrente. Morì nell’Insurrezione di Varsavia durante un bombardamento, assieme al suo amico poeta Zdzisław Stroiński.
Due poesie di Tadeusz Gajcy tradotte da Paolo Statuti
La notte
Forse in un vano sonno, nel ricordo
giaccio alla luce, che come corallo
ruota giù veloce? Ecco l’istante
in cui le ombre dei fiori nell’onda
lesta nuotano gravi come carpe
sotto la luna d’argento. Un insetto
è un uomo, un uccello ogni animale,
quando il cielo col suo tocco ci desta
come corde o ci acquieta e si nasconde
scuro sotto la palpebra pesante.
Che io rammenti: sono uguale al chiarore
rosato, che trasforma lo spazio
in un albero d’improvvisi colori.
Che io comprenda: uguale a una raffica,
quando nell’aria leggera procede
come campana dalla fredda quiete.
Che io dica: sono uguale a me stesso
giacendo come un’isola nel sonno,
quando il cielo è bianco come un foglio,
e la terra continuamente irreale
e il tenue abbozzo dei fiori sul fondo
si rassoda in pietra, in cereo osso;
ed io nel mio inutile ricordo
al chiaro volto dell’infanzia mi accosto:
la luna sopra una massa di nubi
e il vento dei colombi sopra il bosco,
l’acqua gioiosa, il fremito d’un pesce
tra le bianche ninfee. Eppure lo so:
inutile è il ruscello del cuore,
non sarò uguale ai sogni che ha percorso.
Ma la notte mi aspetta ancora, simile
alle notti in cui il corallo della luce
si attenuava. E l’ombra sulle nubi
è la mia ombra come d’un gigante,
eppure la mia mano è umile
ed è disteso il fragile corpo.
Che io rammenti: in un rametto
di fumo è la patria, in una fiammata,
e dalla neve d’una nube coperto
io sono uguale a questa terra avara.
(1944)
(C) by Paolo Statuti