Tre sassi bianchi

Creato il 23 agosto 2011 da Paz83

Sulla spiaggia, di qualunque fattura essa sia, granelli di sabbia o sassi, io son sempre tornato un po’ bambino non di quelli che spaccano i maroni per tutto il tempo della loro permanenza, schiamazzando correndo e urlando in maniera indisciplinata figli di una madre troppo spesso incinta. Piuttosto uno di quelli che se ne sta zitto a fissare il mare immaginando l’orizzonte e dipingendolo di velieri e bucanieri e isole che non si possono vedere ad occhio nudo, tutte piene di fantastiche meraviglie e tesori. Uno di quelli che si muove tra l’orizzonte e la sua testa. Quel tipo di bambino, che anche voi converrete è decisamente meglio se vi trovate sulla medesima spiaggia.

Allora me ne stavo sdraiato a pancia in giù su questa spiaggia della fattura di sassi, tutti neri che si scaldano al sole durante il giorno. E se ci vai quando è l’ora che il sole deve rincasare dopo una giornata passata a correre su e giù è la cosa migliore, perché non ti senti un cumulo di carne che gira sullo spiedo e i ciottoli scuri cominciano a rilasciare il calore accumulato e quand’anche tirasse una brezza fresca di quelle che tenta di drizzarti i peli te stai bene perché c’è questa specie di riscaldamento geotermico sotto che secondo me è pure salutare. E la gente sta in quella fase che non è attività ma nemmeno sonno, se ne sta in questo stato di quasi trance e pure i bambini figli di una madre troppo spesso incinta li vedi che ondeggiano silenziosi quasi trascendendo il loro corpo fisico e son tutti zitti e svuotati.

Io me ne stavo arenato, il mare alle spalle con la faccia al filo di questa distesa di sassi e mi lasciavo trascinare in quella trance che accennavo prima, che la pace era con me. E siccome mi trovavo appunto con lo sguardo alla misura di due nocche appena da questi sassi allora mi son messo a fissarli, allo stesso modo di quando fissi le stelle o le nuvole o qualsiasi altra cosa ci sia nel mondo da fissare. A Modena per esempio quando ero pischello andavo ai giardini ducali e finiva che anche in quel caso non appena il sole si incamminava verso casa allora io mi sdraiavo sull’erba e fissavo a seconda se ero a pancia in giù o meno le nuvole o le fronde degli alberi o l’erba e tutti quegli insettini che ci scorrazzavano in mezzo ignari d’esser visti, perché di solito non mettiamo mai la faccia così vicino a dove mettiamo per convenzione i piedi, che per quanto mi riguarda è un esercizio che ogni tanto andrebbe fatto, di capovolgere le convenzioni e portare il sotto sopra e viceversa.

Dicevo comunque che stavo bello a prendere il calore dal terreno sassoso come per convenzione fanno gli animali a sangue freddo e fissavo questa distesa nera immaginandomi un tesoro e altre fantasticherie che ti vengono in mente quando appunto capovolgi e da adulto torni bambino, una cosa del genere. Ci son stato il tempo di sessanta minuti forse, cosa da intorpidire lo sguardo, quando sulla mia destra vedo brillare tre sassi bianchi, piccoli levigatissimi che a far quello strano te li potresti pure immaginare incastonati sull’anello. Tre sassi bianchi che nelle cose della vita non son nulla ma in quelle di un bambino, tre sassi bianchi piccolissimi su di una spiaggia composta esclusivamente di sassi neri son tutto. Sono la ricompensa al viaggio, il tesoro che cercavi sull’isola dopo esser sfuggito a quelle navi i cui capitani esibivano la lettera di corsa, il ricordo dell’avventura. E se ne stavano ad un braccio teso da me, tutti e tre nello stesso punto quasi qualcuno dopo averli trovati avesse deciso di sostarli lì in attesa di acque più calme per poterli recuperare. Ma adesso a trovarli son io, e in questi casi se trovi un tesoro allora hai il diritto su di esso e nessuno può reclamarlo. Possono solo tentare di sottrartelo, ma se sei scaltro e spieghi le vele e ti fai amico il vento e punti al nulla dietro la linea allora è fatta.

Così ho raccolto quei sassi e me li son infilati nel taschino del costume e mi son sentito bene come non mai a saperli al sicuro e lontano dalla vista d’altri, con quel brivido appena accennato sotto pelle di chi si trova in mezzo al mondo e sa di trasportare in incognito qualcosa di così prezioso da essere insostituibile. Poi è giunto il momento di tornare al campeggio e quei sassi li ho infilati in una sacca a tracolla che mi ero tirato dietro, ma siccome mi ero nuovamente capovolto di quei sassi me ne son dimenticato fino a quando tornato a Modena non ho scaravoltato la sacca e son ruzzolati fuori sul tavolo. Ed è stato qualcosa di inaspettato il vedersi uscire ben tre, non uno ma tre sassi bianchi piccoli e levigatissimi che per un secondo ci son rimasto basito ma poi li ho presi in mano e mi son capovolto di nuovo, sopra sotto, uomo bimbo, e poi è finita che ci ho scritto questo lungo post su quei tre sassi bianchi.


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