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I bambini vanno a ruba. Voglio dire nei libri. Perfino sulle copertine direttamente con le loro gracilità espressive o attraverso certi elementi tipici della loro età: una carrozzina, delle scarpine, uno zainetto. Ci trovo spesso un po’ di vile sfruttamento. E dunque, appena ho visto una bambina di spalle nel libro citato, una piccola smorfia di disappunto è sorta spontanea. Però, a pensarci bene, molto sta nel modo in cui l’autore affronta il problema, e appena ne ho letto il nome mi sono rincuorato, perché Lorenza Ghinelli già con Il divoratore ha dato prova di sensibilità, bravura e sapienza stilistica. E mi sono pure rassegnato ad essere travolto da una valanga di frattaglie degli abissi umani. Qui abbiamo tre storie. Di Estefan, Martino e Greta. Quella di Estefan, la sua chiusura con la famiglia, con il mondo, le risposte sillabiche, gli incubi, la solitudine, sigarette forti, la droga, l’angoscia che lo tormenta a diciannove anni. Un ritorno indietro nel tempo e la nascita di un fratellino, Sebastiano. La sua morte improvvisa. Il percorso della memoria che cozza sempre lì (colpa tremenda o ricordo sbagliato?) e da lì è cambiato tutto, il rapporto con i genitori, la sua svogliatezza, il suo rinchiudersi, il buco nero ed il gioco del “Se”… Quella di Martino con la disarmata ingenuità di otto anni, la fiducia tradita dal suo “idolo”, piccolo essere violentato, i dubbi e i tormenti, solo, solo, solo con il suo segreto. Da grande la rabbia che si porta dentro, la violenza istintiva. E quella di Greta nata da una madre giovanissima morta durante il parto che vive con il nonno e la sua bella cavalla. I ricordi, la nonna, la dura vita di tutti i giorni. Una piccola anima costretta ad essere già grande. E un altro colpo tremendo che l’aspetta. Le tre storie si intrecciano con momenti di sofferenza e tenerezza infinita che ci scuote e commuove, giovani bulli su macchine e moto, vecchi che giocano a carte, canzoni e canzoni, sigarette, droga, il battito del cuore, l’impulso del sesso, l’angoscia della mente. Trapassi veloci di tempo a sottolineare i cambiamenti, ritmo, velocità, qualche pausa a riprendere fiato e a serrare i ranghi dell’attenzione. Insomma la Ghinelli è lì che scandaglia, apre, squarcia, affonda i colpi nell’inconscio per risalire in una realtà non meno terribile. Vite spezzate, famiglie rotte. Un po’ di pace dalla campagna. Ogni tanto verrebbe pure voglia di dirle ehi basta, fermati, riposati, lascia stare! Ma lei è lì tutta presa dal suo lavoro che gira e rigira il bisturi delle parole e dei fatti, li butta in aria, li ferma, li avvolge, li fa esplodere, li trascina per terra, nel fango e ce li schizza addosso. Figlia d’un cane!
P.S. Ho buttato giù di getto e dunque non si tratta di una recensione vera e propria. È più una reazione istintiva. Questo è un libro complesso e nello stesso tempo così semplice. Volutamente eccessivo, sopra le righe, allucinato. La colpa è con noi, dentro di noi, anche se siamo innocenti. Nessuno può togliercela se non, forse, un nuovo abbraccio, una nuovo sorriso. Se non la luna «perché la luna ha una pietà che il sole non conosce». Mio Dio.
La colpa
di Lorenza Ghinelli (Ed. Newton Compton)
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