Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Nel sole immergersi pensoso,
un muro a secco, e rovi, e cespi,
e qui striscia una biscia, lì un merlo fischia,
abbacinato porgervi l’orecchio.
Lasciare l’occhio a seguitare su uno stelo
o in uno spacco riarso e aspro
le frenesie improvvise di formiche,
il loro subito rifarsi fila,
o fra le foglie, in lontananza,
i lapislazzuli di mare,
nel tremulo basso continuo
di grilli su cime spelacchiate.
Nell’accecante luce, qui, esser presi da stupore
del quanto e come (del come e quanto)
la vita e ogni sua pena
sian come versi di Montale,
che più li leggi e meno sai ridirli.
[versione di Luigi Castaldi]
Vedasi qui le ragioni del titolo del post.