Il satellite Lageos II. Crediti: ASI/NASA
Cosa c’entra la teoria della Relatività di Albert Einstein con i satelliti artificiali in orbita attorno alla Terra? In realtà c’entra moltissimo: basti pensare al sistema satellitare GPS che permette di ottenere un’accurata localizzazione proprio grazie alle correzioni sulle misure di tempo e posizione tra satelliti e ricevitori a terra basate sulle equazioni della Relatività Ristretta e Generale. Gli effetti in gioco sono piccolissimi ma misurabili. Effetti che interessano direttamente anche le orbite dei satelliti stessi, creando nel tempo delle leggere variazioni nelle loro caratteristiche. Anche queste perturbazioni sono estremamente piccole e il loro effetto macroscopico può manifestarsi nel lungo periodo in uno spostamento del punto di massimo avvicinamento del satellite al nostro pianeta.
Su questa classe di perturbazioni due ricercatori dell’INAF, David Lucchesi e Roberto Peron dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali di Roma hanno appena pubblicato online sulla rivista Physical Review D un accurato studio basato sull’analisi di 13 anni di dati relativi alla traiettoria del satellite LAGEOS II. LAGEOS II (LAser GEOdynamic Satellite, realizzato dalla allora ALENIA per conto dell’ASI e lanciato da ASI e NASA nel 1992) è un satellite completamente passivo, (ovvero senza strumenti scientifici, né motori per manovre orbitali o antenne per comunicare a Terra) nato per studi specifici nei campi della geodesia spaziale e della geofisica. Insieme al suo predecessore LAGEOS, lanciato nel 1976, ha fornito (e tuttora continua a fornire) una serie di contributi fondamentali per la conoscenza della struttura interna del nostro pianeta. Lucchesi e Peron nel loro lavoro si sono concentrati sull’analisi dell’orbita di LAGEOS II e in particolare dello spostamento dell’argomento del pericentro, ovvero uno dei tre angoli con cui viene definito l’orientamento nello spazio della sua orbita.
Questo effetto può essere legato sia a perturbazioni di origine gravitazionale, come quelle causate dalla deviazione dalla simmetria sferica per la distribuzione di massa del nostro pianeta, che a perturbazioni di origine non gravitazionale, ad esempio quelle dovute alla pressione della radiazione solare sulla superficie esterna del satellite. Ci sono poi correzioni introdotte da contributi legati alla Relatività Generale e i calcoli dei due ricercatori indicano una eccellente concordanza tra l’entità degli effetti osservati con le previsioni teoriche, dell’ordine di una parte su 10.000, con una precisione dello 0.2% ed una accuratezza pari al 2.5%, appena dieci volte peggiore rispetto alla precisione della misura.
Secondo la Relatività Generale, le equazioni di campo di Einstein, nel limite di campi deboli e basse velocità rispetto a quella della luce, si riducono ad una forma simile alle equazioni di Maxwell per il campo elettromagnetico. Quindi, in questo limite, gli effetti gravitazionali su una particella di prova (in questo caso proprio il satellite LAGEOS II) legati alla curvatura dello spaziotempo sono provocati da un campo gravitazionale-elettrico prodotto dalla massa della Terra e da un campo gravitazionale-magnetico prodotto dalle correnti di massa (massa-energia nel caso più generale) causate dalla rotazione terrestre.
In altri termini, la Relatività Generale è più accurata nel descrivere l’interazione gravitazionale di quanto sia la teoria classica sviluppata da Newton, che prevede una forza di attrazione gravitazionale fra masse ma non un secondo contributo gravitazionale legato alle masse in movimento. La Relatività invece contempla anche questa seconda forza nelle equazioni che descrivono il campo gravitazionale-magnetico. Così, sempre nel limite di campi deboli e basse velocità, il momento angolare della Terra (la grandezza fisica legata alla rotazione terrestre) gioca lo stesso ruolo svolto dal momento magnetico nelle analoghe equazioni di Maxwell dell’elettromagnetismo.
Rimanendo nel paragone con l’elettromagnetismo, il campo gravitazionale-elettrico ricalca invece il ruolo svolto dal campo elettrico: la massa è quindi una carica gravitazionale, ma che produce ulteriori effetti rispetto a quelli della massa nella teoria classica formulata da Newton. Un fenomeno particolarmente importante è quello legato alla precessione del pericentro di un’orbita. Nel caso del satellite LAGEOS II questa precessione è responsabile dello spostamento del pericentro dell’orbita al ritmo di circa 3352 millesimi di secondo d’arco per anno. Tradotto in spostamento lungo l’orbita, tenendo conto che la distanza del satellite dal centro della Terra (12.163 km) corrisponde a circa due raggi terrestri, si ottiene un effetto di poco inferiore a 198 metri per anno.
Il secondo contributo relativistico alla precessione, dipendente dal campo gravitazionale-magnetico è molto più piccolo, pari a circa 57 millesimi di secondo d’arco per anno (l’angolo sotto cui si vedrebbe una moneta da 2 euro alla distanza di circa 90 km), ed ha verso opposto rispetto a quella prodotta dal campo gravitazionale-elettrico. Esso corrisponde ad uno spostamento del pericentro pari a poco più di 3 m all’anno. Si tratta perciò di un effetto estremamente piccolo, ma misurabile, sia per la precisione della tecnica di inseguimento laser dell’orbita del satellite LAGEOS II, sia per una serie di sofisticati programmi di determinazione orbitale e di modellizzazione dell’orbita del satellite. La tecnica di inseguimento laser di un satellite artificiale è nota come Satellite Laser Ranging (SLR): la luce monocromatica e altamente coerente emessa da un laser viene collimata e “sparata” – attraverso l’asse ottico di un opportuno telescopio – verso il satellite e da questo riflessa, tramite opportuni specchi diedri, verso la stessa stazione laser da cui l’impulso di luce era stato emesso. Dalla misura del tempo di andata e ritorno dell’impulso si ottiene la distanza stazione-satellite e da questa, tramite opportune procedure di riduzione dei dati di distanza e dal confronto di queste con quelle ottenute dai modelli dinamici, si riesce a risalire alla conoscenza dell’orbita del satellite con una accuratezza centimetrica.
La misura ottenuta dagli autori per l’avanzamento del pericentro del satellite, con la corrispondente stima degli errori statistici e sistematici, costituisce non solo una verifica della validità della teoria della Gravitazione sviluppata da Albert Einstein (l’accordo è al 98% considerando gli errori sistematici) ma, al tempo stesso, costituisce un risultato utile per porre dei vincoli significativi ad altre teorie della Gravitazione definite “alternative”. In particolare, diverse fra queste teorie prevedono che l’interazione gravitazionale sia descritta da altri campi (scalari, tensoriali o vettoriali) oltre che dal tensore metrico della Relatività Generale. In tutti questi casi, all’ordine più basso della interazione e nel limite non relativistico, la parametrizzazione di questi campi avviene con l’introduzione di un potenziale a lungo raggio che di fatto modifica la legge della forza gravitazionale, per cui non risulterebbe più inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
Il risultato della misura pubblicata su Physical Review D vincola significativamente l’intensità di una tale possibile interazione ad un valore dell’ordine di un decimo di miliardesimo dell’entità totale dell’interazione e ad una distanza caratteristica pari a un raggio terrestre. Si tratta quindi di una misura confrontabile con gli analoghi limiti ottenuti nel caso della Luna tramite la tecnica del Lunar Laser Ranging (LLR), dove però la scala delle distanza sale a circa 380.000 km.
In definitiva, il lavoro pubblicato dai due ricercatori INAF conferma ancora una volta la teoria della Gravitazione sviluppata (ormai un secolo fa) da Albert Einstein come la sola capace di spiegare coerentemente le osservazioni e tutta la fenomenologia della interazione gravitazionale, almeno nel limite di campi deboli e basse velocità.
Per saperne di più:
- l’articolo LAGEOS II pericenter general relativistic precession (1993–2005): Error budget and constraints in gravitational physics di David M. Lucchesi e Roberto Peron pubblicato online sul sito web di Physical Review D
Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani