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Tremonti impallinato, la Marcegaglia scrive il “Manifesto” e la Lega non sfiducerà Romano. A tutto c’è un perché

Creato il 24 settembre 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti

Tremonti impallinato, la Marcegaglia scrive il “Manifesto” e la Lega non sfiducerà Romano. A tutto c’è un perché

Dave Brown

In attesa che “ci scappi il morto”, come secondo noi ha profeticamente dichiarato Antonio Di Pietro, stiamo assistendo alle ennesime rasoiate con le quali il governo delle mezzeseghe conclamate sta sfregiando un’Italia ridotta allo stremo. Certo, un inizio così ottimistico ce lo potevamo risparmiare, visto che questa nazione ha un bisogno costante e vitale di ridere ma, in tutta onestà, non ci viene in mente nessun argomento che possa risollevarci il morale: a noi. Perché Silvio di argomenti atti a scacciar pensieri ne ha, eccome. In pieno marasma economico, politico e financo giudiziario, Black&Decker riesce a trovare il tempo per sollazzarsi un po’, come si confà ai lavoratori frustrati della catena di montaggio dopo una settimana di turno di notte. In taxi, come se nulla fosse, arriva a Palazzo Grazioli Sabina Began. Scende, resta un’ora e mezza con il premier, che le mostra le ultime farfalle della sua collezione, e se ne va sempre in taxi che, stavolta, la va però a prendere nel cortile del palazzo reale. Fuori ci sono decine di giornalisti e di fotografi e non è il caso di dare nell’occhio. Saputa la notizia, Bersani si è incazzato. Lui, poverino, per colpa di questa crisi non tromba da una vita...con la moglie. I bene informati ci dicono che l’Ape regina abbia fatto solo un’inutile ora di anticamera, ma le malelingue riferiscono che Silvio abbia parlato con lei di Giulio Tremonti. Perché la Began non è solo la sua “preferita” ma anche la consigliera di fiducia alla quale Silvio confida i crucci e Giulio, in questo momento, lo è. Berlusconi vuole farlo fuori. Ormai è chiaro a tutti che un feeling mai esistito fra il premier e SuperPippo-Giulio si è trasformato in odio viscerale. Silvio, di Tremonti, disprezza tutto, comprese le nozioni basilari di economia con le quali il titolare del ministero di via XX Settembre sta cercando di dare una svolta all’Italia, tagliando a man bassa tutto il potabile e affossando ogni possibilità di crescita. Abituato a ragionare avendo sotto gli occhi il saldo di cassa, o poco più, Silvio non riesce a comprendere l’economia creativa di Giulio, pur comportandosi, quest’ultimo, come un semplice ragioniere di uno studio commerciale incaricato di tenerne sott’occhio i costi di gestione. Da parte sua Tremonti lancia da Washington il suo diktat: “Mi vogliono cacciare? Mi sfiducino, vediamo se ne hanno la forza”. Non c’è più alcun dubbio che ormai fra il ministro e lo stato maggiore del Pdl volino solo stracci. Brunetta, che aspetta sempre la candidatura al Nobel per l’economia, è seduto sulla riva del fiume. Galan è incazzato nero con Giulio per i tagli alla Cultura e, a fargli compagnia, ci sono Mara Carfagna, Stefania Prestigiacomo e quel ministro per lo Sviluppo economico che risponde al nome di Paolo Romani, del quale resterà nella storia solo l’accordo bilaterale sottoscritto con il leader mongolo Batbold Sukhbaatar. A distrarre il presidente del consiglio dalle sue ordinarie attività, che come tutti sanno non sono quelle di governare il paese, ci si è messa ora anche Emma Marcegaglia che, stanca di essere considerata una velina al pari di Nicole Minetti (anche se sembra che lei non gliel’abbia data), ha scritto di suo pugno il “Manifesto” della Confindustria per salvare il paese. Quando a Silvio hanno detto che Emma aveva scritto il “Manifesto”, è andato su tutte le furie, le ha dato della comunista in incognito e pronosticato per lei un ruolo di futuro leader dell’opposizione (poveri noi!). Ma se Tremonti attende con aria di sfida la mozione di sfiducia individuale da parte della sua stessa maggioranza, c’è un altro ministro sul quale pende una analoga mozione. Trattasi della new-entry all’Agricoltura Francesco Saverio Romano sul quale pende l’accusa di “concorso in associazione mafiosa”, notificatagli dai giudici di Palermo. Il ministro in queste ore sta dimostrando un invidiabile aplomb. Una persona normale, accusata di collateralismo con la mafia, almeno si preoccuperebbe un po’, Francesco Saverio no. E, notate bene, non dice che i giudici stanno sbagliando o che lui è innocente, non si scaglia contro le toghe rosse o contro Antonio Ingroia, non urla di essere un perseguitato o di portarsi appresso l’invidia dei corregionali, la tranquillità di Romano è contenuta tutta in una frase: “La Lega è con me, ce la farò”. Ora, al di là di ogni ironica considerazione su come prenderebbero l’appoggio a un accusato di “concorso in associazione mafiosa” la nostra casalinga di Abbiategrasso o i frequentatori del Bar dello Sport di Adro, ci preme richiamare alla memoria degli storicamente labili italiani, quello che nel 1990 scrisse l’ideologo della Lega, Gianfranco Miglio, a proposito della sua visione dell’Italia. Nel libro “Una Costituzione per i prossimi trent’anni”, edito da Laterza, il professor Miglio (lo studioso al quale il sindaco di Adro ha intitolato la scuola del Sole padano), divideva l’Italia in tre macro regioni: la Padania, la Centrale e la Meridionale, in una sorta di confederalismo geografico, politico ed economico. Delle tre macro regioni, il professor Miglio descriveva le caratteristiche principali, le peculiarità e la propensione all’interscambio, come si trattasse di tre entità statuali europee pienamente autonome ma interagenti. Descrivendo le caratteristiche della macroregione meridionale, Miglio metteva in evidenza alcuni fenomeni caratteristici di quelle parti: la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, la sacra corona unita. Assumendole come parti sociali imprescindibili e inderogabili, il professore giungeva alla conclusione che sarebbe stata necessaria una sorta di “istituzionalizzazione”, di legalizzazione delle cosche criminali fino a farle diventare soggetti politici ed economici attivi e costituzionalmente riconosciuti. A prescindere che questa era anche l’idea fissa di Licio Gelli e del suo piano piduista di “rinascita dell’Italia”, non si può non notare come i primi passi pratici della dottrina migliana furono proprio la costituzione della Lega al nord e di Sicilia Libera al sud. Fondato da Tullio Cannella, un piccolo imprenditore edile palermitano, il partito degli indipendentisti siculi doveva rappresentare la risposta meridionale ai sommovimenti politici in corso al nord. La fregatura fu che dietro “Sicilia Libera” si muoveva un certo Leoluca Bagarella, di professione mafioso, latitante, pluriricercato. I siciliani, caduta la Democrazia Cristiana, erano alla ricerca di un altro referente politico, ma pensarono in un primo momento di fare da soli. Quando si resero conto che non ci sarebbero mai riusciti, preferirono dirottare il loro potenziale di fuoco elettorale verso altre esperienze allora nascenti. Ogni riferimento a Forza Italia è assolutamente casuale e chi lo pensa è un pierino. Da dove nasce l’appoggio della Lega a Francesco Saverio Romano? Se qualcuno non lo avesse ancora capito, abbia la pazienza di rileggersi il post.

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