Sfoglia ancora una volta la margherita delle sue dimissioni, Giulio Tremonti, ma alla fine il petalo che resta è il solito: " non mi dimetto".
Era arrivato al vertice a Palazzo Grazioli, intorno alle 13:30, e molti credevano che avesse in tasca belle e scritte, le sue dimissioni. Invece, la prima cosa che si è premurato di fare, è stata proprio annunciare ai giornalisti presenti che non aveva alcuna intensione di lasciare.
D'altronde, se non lascia il Capo, perché dovrebbe farlo il subordinato? Insubordinazione? Potrebbe essere, ma non è ancora maturo il momento, evidentemente.
Tutti preferiscono le minacce, anche un po' subdole, nemmeno troppo gridate. L'unico che torna a gridare, per stimolo di virilità, ormai un po' sopita, sicuramente molto depressa, è Bossi. " Sulla manovra il Governo rischia", ha tuonato il Senatùr. Il punto è che non è stato proprio l'unico a tuonare in questo senso: la Corte dei Conti, infatti, avrebbe espresso perplessità sui tagli proposti dalla manovra finanziaria che Tremonti nascondeva in tasca, al posto delle dimissioni. "Serve crescita [...] la manovra è ai limiti della sostenibilità", queste le impressioni dell'organismo di controllo sul rendiconto generale dello Stato: continuando sulla necessità di ridurre il debito pubblico e sull'impossibilità di rimandare oltre la riforma fiscale.
Parole al vento, sprecate, con ogni probabilità: il Governo Berlusconi, tra strilloni e marionette, sobillatori e sibillini, continuerò a muoversi per la sua strada: il problema è che proseguendo in questi termini, lo farà fino al 2013 sul serio. Il risultato, sarà però, non un paese politicamente stabile, ma un'Italia ferma ai box, senza nemmeno la ruota di scorta...