Non ha fatto la solita promessa di ridurre le tasse, cosa alla quale non crede più nessuno, ma ha lanciato ad aziende e partite iva il vero segnale: ha promesso meno controlli e visite fiscali, in nome di un presunto diritto a dire “non mi rompete più di tanto”.
Le stesse parole denunciano l’inconsistenza giuridica delle intenzioni tremontesche, ma al tempo stesso la loro corposa realtà, il loro squallido obiettivo: quello di fare dell’evasione e della malafede il pilastro su cui si regge il Paese. La sua filosofia di fondo.
Come si vede l’ingiustizia del processo breve, si traduce subito in ingiustizia sociale che nemmeno più tenta di nascondersi e di paludarsi in qualche modo: una diminuzione delle tasse avrebbe rischiato di diminuire il peso fiscale su tutti e sui ceti più deboli, cioè sulla stragrande maggioranza del Paese, quella che non può evadere. Invece così, riducendo i controlli, già ampiamente sottodimensionati, si salvano i cavoli elettorali e le capre d i Umberto e Silvio. Si salva il mondo corrotto che il Cavaliere ha creato a sua immagine e somiglianza.
Certo sono solo promesse che lo stesso Tremonti può rimangiarsi quando vuole, uno sforzo straordinario di ambiguità per impedire che il malgoverno di Milano subisca una punizione alle prossime amministrative. E tuttavia rappresentano un salto di qualità, naturalmente verso il basso, tra la strizzata d’occhio, il non detto perché troppo vergognoso da dire e l’intento palese ormai rivelato senza vergogna. Giustizia ad personam e fisco ad electores. I poveri che devono pagare e i ricchi che possono godere del “non controllo”.
Lo streaking politico del berlusconismo. Ingiustizia fiscale è fatta.