Treno di notte d’estate

Creato il 11 luglio 2013 da Lundici @lundici_it

Ai tempi l’aria condizionata non esisteva e i finestrini nei corridoi dei vagoni a scompartimento erano tutti sempre abbassati. Le tende di un beige sporco e anonimo ballavano, sbattute dal vento, come le criniere di cavalli selvaggi al galoppo senza meta
Su quel treno che mi riportava a casa ogni estate e scorreva sulla ferrovia lungo la costa adriatica, tra l’Abruzzo e la Romagna, a me piaceva da matti mettermi in piedi, nel corridoio: ero piccolo ed arrivavo poco sopra l’apertura del finestrino, abbastanza in alto per guardare il mondo che mi sfrecciava davanti in quelle sere d’estate

Il treno sferragliava veloce, velocissimo, alle volte sembrava impazzito, come se non ci fosse nessuno ai comandi, come se saltasse sui binari senza neanche toccarli. Il suo fischio riempiva l’aria quando si avvicinava a qualche cittadina sul mare. Il rumore era tale che era impossibile parlare con qualcuno al tuo fianco.


In quei momenti io mi sentivo trasportato in una dimensione altra, in cui io ero sospeso ed ero magnificamente solo. Il mondo dentro e fuori il treno erano equidistanti e perfettamente equivalenti per me. Davanti ai miei occhi scorrevano bambini che giocavano a pallone per strada, mentre i loro genitori in canottiera chiacchieravano seduti sulle sedie fuori dalle porte di casa; vedevo famiglie che si apprestavano a cenare nelle loro case con le finestre spalancate oppure mi apparivano gruppi di amici in un campeggio proprio sotto la ferrovia, seduti attorno ad un tavolino sistemato tra i pini.

Io non ero né qui né là, né partito, né arrivato; i suoni di quei frammenti di mondo erano intermittenti e indecifrabili: una madre che chiama un bambino, una fisarmonica di una festa di piazza, il gracchiare delle cicale nei tratti di campagna. Un momento ero lì su quel treno, e l’attimo successivo a dar calci al pallone con quei bambini oppure seduto su un marciapiede ascoltando le chiacchiere dei genitori o a cena a piedi nudi sotto i pini.

Quel treno apparentemente folle e gettato verso il nulla, a me appariva sicuro e tranquillizzante nella notte estiva: mi sollevava dolcemente, mi faceva allegro e leggero, mi portava lontano…Il suo fischio mi sussurrava di non preoccuparmi, che lui si stava prendendo cura di tutto, mentre io potevo tranquillamente starmene al finestrino e lasciare che la mia fantasia si mischiasse alla realtà che mi galoppava davanti.

C’era in quello sconclusionato sferragliare tutto il profumo della leggerezza del viaggio e di un avvenire bellissimo senza confini verso cui io stavo andando. Ma forse, oggi capisco, per andarsi a prendere quell’avvenire, da quel treno bisogna scendere.

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