di Angelo Rossi – Mi è stata chiesta un’opinione sulla notizia del mancato rinnovo a Piccoli per l’attività di marketing al Consorzio Vini del Trentino. Non come persona informata dei fatti, ma come esperto della materia. Non sono né l’uno, né l’altro, ma uno cui piace dibattere prima che si prendano decisioni che coinvolgono il mondo cui sento di appartenere. Lo faccio volentieri su questo blog che è per il confronto più che per lo scontro, magari con sarcasmo o toni polemici di fronte all’immobilismo che dura da troppo tempo. La notizia potrebbe essere importante se si fosse finalmente alla vigilia di un’inversione di tendenza. Piccoli, effettivamente c’entra relativamente, se non per essere stato funzionale ad un modello che non ha prodotto nulla di nuovo o di interessante. Il che, in un mondo che corre nonostante la crisi, è grave di suo, ovviamente. Come dire che avrebbe fatto bene a lasciare già pochi mesi dopo il suo primo mandato, quando gli dev’essere stato chiaro che nessun incaricato della promozione può fare miracoli se a monte manca un vero progetto territoriale, almeno simile o migliore di quello degli altri competitori. Il nodo è questo. Fa bene il presidente Bertagnolli a sostenere che forse alla promozione istituzionale non servono consulenti esterni, stante il calibro dei manager nel gruppo di lavoro interno creato allo scopo. Parlo di promozione istituzionale e non di marketing tout court perché spesso si confondono le due cose: il marketing, infatti, comprende la promozione, la pubblicitá, le PR, ecc. ma dovrebbe comprendere anche la cosiddetta “tutela” delle produzioni. Funziona ovunque così da quando (ca. 40 anni fa) si è smesso di vendere ciò che si era prodotto per vendere ciò che il mercato richiedeva. Al tempo, per tutelare i territori (con i rispettivi produttori e i consumatori) era nata la disciplina delle DOC e il Trentino si stava facendo un nome fra i produttori di Qualità. Successivamente, con la globalizzazione le cose cambiarono e nel piccolo Trentino si svilupparono alcune fra le più grandi aziende marketing oriented italiane. Il risultato fu che a fronte di una buona redditività immediata, nel lungo periodo svanì il buon nome dell’origine e le aziende, grandi o meno, si sono dovute rifugiare nelle politiche di brand. Queste ultime prescindono, o meglio, sfruttano i territori, piegandoli ai loro sacrosanti fini. All’apparenza una spirale dalla quale non si esce. E invece si deve e si può. Si deve perché il nostro cognome è “Trentino” e questo non va sostituito con denominazioni più generiche che compromettono il fondamento della “tipicità”. Si può perché c’è spazio sia per le politiche di brand che per quelle di territorio. Ma la credibilità di queste ultime poggia sulla chiarezza ed è la chiarezza che oggi manca.
Di regole per sostenere la chiarezza ce ne sono anche troppe, ma alcune vanno aggiornate e soprattutto va rinfocolato lo spirito e l’orgoglio di appartenenza al cognome di cui sopra.
Un rinnovamento che dovrebbe partire dalle fondamenta (tutela) e non dal tetto (promozione), per cui la commissione dei marketing manager dovrà sforzarsi di interpretare situazioni (territoriali e organizzative) che ultimamente non si sono volute affrontare. Senza questo passaggio chiarificatore anche le più raffinate azioni promozionali perderebbero credibilità ed efficacia, buone solo per l’autoreferenzialità.
Nelle prossime settimane, quindi, si capirà meglio se la presidenza Bertagnolli riuscirà nell’intento di avviare un nuovo corso. Sullo sfondo rimangono le nomine ai vertici della Federazione della cooperazione e poi quella di Cavit, l’iter della DOC Venezie, un progetto dei Vignaioli per uscire dal cul de sac nel quale si sono cacciati, ecc. ecc. Solo allora, a mio parere, si ricomincerà a fare notizia. Per ora è ancora la fuffa di sempre.