Come di sicuro sapete già, in queste settimane stanno accadendo cose piuttosto importanti nell’universo mondo del vino trentino: i vignaioli si sono dati una nuova dirigenza under 30, Consorzio Vini si sta irrobustendo e sta cominciando a prendere in mano nuove competenze in tema di promozione, la politica piano piano si sta ritirando e l’Istituto di Monsieur Zanonì sta cercando con qualche difficoltà, ma anche con convinzione, di ridefinire la sua nuova identità all’interno della galassia consortile. Tutte cose che avete già letto suoi quotidiani locali e che, non avendo noi mai avuta alcuna comunicazione ufficiale né di prima mano, evitiamo, almeno per ora, di approfondire.
E tuttavia un paio di notizie, una buona e una cattiva, mi sento di doverle segnalare. Cominciamo da quella buona, che per quelle cattive c’è sempre tempo. Dunque: è nato un nuovo TRENTO DOC, anzi il primo TRENTO DOC biologico certificato. E’ stato prodotto da una piccola azienda di Aldeno, quella di Paolo Malfer; lo spumantista puro, perché produce solo metodo classico, che ha cominciato a vinificare champenoise come un piccolo alchimista quando aveva poco più di dieci anni. Da allora è passato mezzo secolo. Revì, le cui bottiglie in tutte le degustazioni alla cieca, quelle che al di là di tutto contano davvero, a cui ho partecipato recentemente sono sempre uscite alla grande tirando una riga anche su etichette blasonate, questa volta sorprende il mercato con un metodo classico biologico da poco meno di 2000 bottiglie, a cui è stato dato il nome di “Paladino”. Si tratta del primo biololgico nella storia della denominazione TRENTO. A me non è ancora capitato di assaggiarlo – poiché a questo blog inevitabilmente non arrivano campioni in degustazione e poiché in enoteca non sono ancora riuscito a trovarlo -, ma chi invece ha avuto la fortuna di metterci sopra il naso, e la bocca, giura si tratti di un vero capolavoro che rasenta la perfezione assoluta. La pensa così l’amico e maestro Franco Ziliani nel post pubblicato un paio di giorni fa su Le Mille Bolle Blog. Lettura che vi consiglio caldamente.
E arriviamo alla cattiva notizia-non notizia. E non perché sia cattiva ma perché ha tutta l’aria di essere una conferma più che una notizia. Anche questa la apprendo dal sempre documentatissimo blog di Ziliani: siamo in tempo di uova di Pasqua, e come sempre capita in tempo di feste comandate – ma non solo –, i prezzi del metodo classico cooperativo precipitano a livelli ipogei. E così veniamo a sapere che in questi giorni sul “mercato interno”, quello trentino, Cavit sta svendendo il suo cavallo di battaglia (che pure è una bottiglia molto più che dignitosa) Altemasi Brut a 4,90 euro; mentre il suo competitor mezzacoronaro riesce a fare ancora meglio (anzi peggio) e propone il suo Rotari (diciamolo pure, modestino) ad un euro in meno (3,95). Prezzi da sballo per i consumatori affamati, anzi assetati, di bollicine e per chi immagina che il comunismo, e il paradiso, siano il luogo mitico delle “ostriche e champagne per tutti”. Detto questo, faccio una considerazione. Credo ci si trovi di fronte ad una strategia commerciale rivolta al mercato interno, che ricordiamolo vale circa il 5% degli scambi totali, quindi poco più di 400 mila bottiglie all’anno, insomma niente, che ha poco a che fare con l’economia e con i margini di guadagno e molto, moltissimo, con la politica. Ho l’impressione sia in atto uno scontro cooperativo (e mi chiedo: dov’è la Federazione, quale sonno sta dormendo via Segantini?), che ha come unico obiettivo quello di acquisire una leadership politica sul mercato locale. Questa partita, che passa per i prezzi – non solo quelli praticati in Gdo, ma anche quelli in uso da qualche mese presso la ristorazione – se la stanno giocando alla grande il consorzio di secondo grado e la cantinona di Mezzacorona. Se ne capiscono i motivi e anche le ragioni, tutto sommato legittime; poter dire da qui a qualche mese, da qui a qualche stagione: “TRENTO DOC sono io, sono solo io”. Comprensibile. Ma sul tappeto, anzi al cimitero, rischia di finire la galassia dei piccoli produttori che, a meno di non votarsi al suicidio commerciale, non saranno mai in grado di competere con i prezzi da sottosuolo praticati da una cooperazione fratricida che ad artigli sguainati punta ad obiettivi essenzialmente politici.