Scrivo questo post, solo per segnalarvi l’ottimo intervento pubblicato su Osservatorio del vino, a firma di Primo Oratore (non spaventatevi, nel sito poi trovate anche nome e cognome del blogger). L’articolo affronta una bottiglia, e non solo, su cui mi ero ripromesso di scrivere anch’io: Maso Palt, lo Charmat roveretano di Marco Manica (Longariva). Una bottiglia centoxcento Pinot Nero spumantizzato in Rosè all’italiana. Una provocazione bella e buona, che fa a pugni con l’omologazione monoculturale del Trentodoc. Lo avevo assaggiato l’estate scorsa, era un torrido pomeriggio di luglio trascorso pigramente fra una telefonata e l’altra in un locale di Mori (Vallagarina). E devo dire che non mi fece impressione. Anzi, il contrario: non capii, e continuo a non capire, perché l’amico Marco avesse sacrificato in questo modo una delle sue partite di splendido Pinot Nero. Ma in fondo, mi dissi, questi sono solo affari suoi. Tuttavia, la cosa mi sembrò subito meritevole di una qualche attenzione perché, ancora una volta, Marco Manica con questa bottiglia stava infrangendo un tabù sacralizzato. E a me, i dissacratori, i “reversoni” come si dice dalle mie parti, piacciono da morire. Poi, per varie ragioni, non ho più scritto nulla. In questi giorni, tuttavia, in rete sono apparsi due interventi su Maso Palt: uno firmato da Angelo Peretti su Internet Gourmet e l’altro su Osservatorio del Vino, a firma di Primo Oratore. Vi consiglio di leggerli entrambi; soprattutto il secondo perché non si ferma alla degustazione dello Charmat ma dà la parola al suo autore. L’intervista è quanto mai interessante: mette a nudo le contraddizioni, reali, che affliggono in questo momento Trentodoc. E non parlo solo del marchio, del brand e della promozione, ma sopratutto della produzione. E purtroppo, temo, che l’analisi impietosa di Marco non faccia una piega. Buona lettura.
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