di Massarello – Come spesso accade, specie quando il gioco si fa duro, i commenti su un post finiscono in vacca. E’ successo così anche per i polemici interventi di Carlo M. che, ad una richiesta di indicare una qualche iniziativa vitivinicola trentina degna di nota degli ultimi 10 anni, ha citato le Bollicine su Trento. Su questa manifestazione si potrebbe, ovviamente, dire molto al di là dell’autoreferenzialità che l’ha caratterizzata fin dal suo esordio.
Ogni tanto però, bisognerebbe prendere il sacco in cima e valutare serenamente i bilancio dei costi e dei benefici, non fosse altro per il dispendio di denaro pubblico e per le energie profuse. E già qui, a dispetto della trasparenza, poco o nulla si sa. Quando i responsabili (?) tengono riservatezza, a meno che non si tratti di segreti di Stato, siamo autorizzati a pensar male e giudicare comunque sulla base di quello che si vede e si sente. Non serve la lente d’ingrandimento e un’analisi in punta di fioretto, basta la mannaia per squarciare la cappa che copre palazzo Roccabruna e le sue iniziative. Deve essere chiaro che quella struttura è pubblica, acquisita, ristrutturata e gestita con denaro della collettività, ancorché per il tramite di un ente funzionale come la Camera di Commercio di Trento. Gli orari di apertura al pubblico, però, non sono esattamente “per” il pubblico, ma piuttosto per i gestori, tant’è che lunedì, martedì e mercoledì il pubblico delle Bollicine non è ammesso, giovedì e venerdì solo dalle 17 alle 22 e, bontà loro, sabato e domenica dalle 11 alle 22. Trentadue ore la settimana. Oddio, potrebbero anche bastare se i visitatori fossero diversamente qualificati, anziché sempre i soliti noti. Il pensiero corre al target culturale che converge sulla città universitaria, FBK compresa, piuttosto che sugli artisti del santa Chiara, teatro e concerti, che potrebbero andarsene da Trento da autorevoli testimoni, convinti di essere stati nella capitale delle bollicine.
Non va meglio in periferia: qualche giorno fa, ad esempio. Marco Paolini al teatro Melotti del Mart di Rovereto, introducendo il “Libiam ne’ lieti calici” del suo Verdi, narrar cantando, invitava il folto pubblico a pensare a quel brindisi con il Prosecco se proprio non voleva pensare allo Champagne (nemmeno sfiorato dal citare un Trento o Trentodoc) poi, rendendosi conto di essere in Trentino, gli è venuto da dire che sarebbe andato bene anche un Teroldego… Non male per essere nella capitale del Marzemino di Mozart! Questo per dire che Paolini è incolpevole, mentre colpevoli siamo noi che in tutti questi anni non siamo riusciti ad informarlo e persuaderlo. E come lui tutti gli altri, testimoni mancati.
Tornando al sacco in cima, converrebbe ricordare i deludenti riscontri emersi dalle indagini sul consumatore e sul trade dopo anni di investimenti sull’immagine e sulla notorietà dei nostri prodotti. Non si è fatto tesoro di niente, non si è voluto imparare dagli errori. Anche se Trentodoc, come marchio commerciale (la “coda” doc non lo rende certo territoriale) non ripaga lontanamente dei sostanziosi investimenti, non è mai stato messo in discussione in nessuno degli eventi o pseudo eventi che fanno da corollario alle Bollicine su Trento. Altro che capitale del metodo classico! Come si fa, Carlo M.&C., a non collegare questi ragionamenti con il volantino dei supermercati Poli che reclamizza il Trentodoc Rotari a 4,84 €? Continuando così e tirando le somme, è lì che si finisce.