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Ehilà! Sopravvissuta all'ultima fatica posso finalmente riprendere uno dei miei hobby preferiti...blogger permettendo...che oggi funziona peggio del solito. Ho appena consegnato la tesi di dottorato, un vero e proprio lavoraccio di 161 pagine scritte in inglese. Si vabbè, bisogna conoscere l'inglese bene, benissimo, e a giudicare da alcuni brani che ho avuto modo di apprezzare negli ultimi mesi, le blogosfere sono piene di gente che scrive, o che afferma di saper scrivere, in un inglese quasi shakespeariano. E però, sfornare cinque capitoli in una lingua che non è la propria rimane sempre e comunque una faticaccia e, la cosa che più ti dà fastidio è che per quanto ti sforzi di essere preciso qualche errore ti scappa, non c'è niente da fare. Del resto si verificano immancabilmente le stesse dinamiche. Lo studente o dottorando inizia a scrivere il lavoro mesi prima della consegna, con un certo margine che dovrebbe permettergli di finire per tempo tutto, senza arrivare in amministrazione all'ultima ora dell'ultimo giorno disponibile con i capelli scompigliati e gli occhioni cerchiati di blu. Se non fosse che il pc sul più bello decide di non funzionare, la conversione dei file in pdf ti causa disastri e imprevisti a iosa, con figure che non si sa perché spariscono, caratteri che cambiano e tabelle che diventano trasparenti. E questo è niente rispetto al tempismo del supervisore. Il supervisore è quell'entità semidivina alla quale consegni il lavoro capitolo per capitolo, a partire dal mese di giugno/luglio, all'incirca cinque mesi prima della scadenza dei termini; è la tua guida sicura che immancabilmente inizia a correggere la tesi una volta che gli hai consegnato tutto, ma proprio tutto, compreso indice e note, e che, se ti va bene, due giorni prima della scadenza ti dà le correzioni da fare, se ti va male, non ti corregge nulla, ti dice semmai che il lavoro va grosso modo bene e che però devi prestare attenzione alla grammatica. Dopodiché peschi il post-doc di madrelingua inglese che si offre di dare uno sguardo a quello che hai scritto (e si offre lui spontaneamente, senza alcuna forma di invito o di preghiera), che dopo ore e giornate di ripensamenti se ne esce mettendoti semplicemente in grassetto alcune frasi del primo capitolo (nessuno si spinge nelle correzioni più in là del primo, massimo secondo, capitolo) e dicendoti di cambiarle in modo tale da renderle più fluide e scorrevoli, abbandonandoti così al tuo destino.
Ma l'importante è finire, tutto il resto si dimentica. Non si può proprio evitare di arrivare alla fine sfiniti, depressi e con un bel "vaf..." stampato in fronte. Comunque non nego di essere stata molto fortunata, alla fine è andata.
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