Mentre il festival a Trieste si avviava verso la sua conclusione, ripensare a quali film ci abbiano maggiormente colpito è operazione da cui è uscito fuori non soltanto il titolo di un documentario, ma anche il nome del personaggio che ce l’ha fatto particolarmente apprezzare: protagonista indiscusso di Cinema, mon amour, l’incontenibile Victor Purice è un esercente, ex proiezionista e irriducibile cinefilo rumeno, che con fatica continua a lottare per tenere aperta la propria sala cinematografica. Anche per questo il 27° Trieste Film Festival ha voluto dedicare proprio a lui un premio speciale. E per tornare a monte, notevole è stata l’intuizione iniziale di Alexandru Belc, regista di questo interessante lavoro cinematografico partito con l’obiettivo di investigare sull’impressionante calo numerico delle sale, nella Romania post-Ceausescu, ma dirottato poi su una microstoria a suo modo emblematica e che valeva assolutamente la pena di raccontare.
Le didascalie iniziali sciorinano dati da brivido. Pare infatti che prima del crollo del regime comunista fossero attive in Romania oltre 400 sale, mentre adesso ne sarebbero rimaste appena una trentina. Un autentico genocidio culturale, quello che ha avuto luogo in questo come in altri paesi del blocco orientale (ricordiamo cifre altrettanto drammatiche anche in Russia, dopo la dissoluzione dell’URSS), da ricondurre a un convergere di fattori tra cui il venir meno di un determinato sostegno statale, la cessione degli spazi più ambiti ad altre attività commerciali, la difficoltà degli esercenti più piccoli a reggere il passo dell’evoluzione tecnologica e soprattutto l’emergere di altre forme di fruizione dei prodotti audiovisivi, prima la televisione e adesso computer, telefonini, eccetera.
In pratica il cineasta Alexandru Belc, dopo aver compiuto ricognizioni preliminari in diverse altre sale, è riuscito a pescare il jolly concentrando tutta la sua attenzione su un caso particolare, quello del Dacia Panoramic Cinema che ancora resiste nella cittadina di Piatra Neamt. Ed è lì che il regista ha scelto di assumere una posizione quasi defilata, per lasciare la massima libertà di espressione al già citato Victor Purice, il quale, col sostegno di alcune adorabili e un po’attempate collaboratrici, si ingegna in tutti i modi pur di tenere aperto il suo cinema. Computer acceso e sintonizzato su realtà come Torrent, per carpire al volo certi titoli, vecchi o nuovi che siano. Racconti nostalgici di un passato in cui la sala si riempiva per film americani di culto e centinaia di posti risultavano occupati. Proiezioni fatte oggi per pochissimi spettatori. Eventi speciali creati per i bambini e le loro famiglie, con film d’animazione scelti direttamente da loro. Momenti di svago affrontati strimpellando qualcosa alla chitarra. Stratagemmi incredibili adoperati per riscaldare la platea, nonostante non vi sia più da tempo un impianto apposito. Contatti con le autorità dagli esiti alterni, per ottenere qualche piccolo sostegno economico che consenta di rimodernare tutta l’attrezzatura.
Ciò porta verso il ritratto di un personaggio e di un ambiente che trasuda umanità da tutti i pori, un ritratto che al limite può risultare un po’ bozzettistico, ma che in Cinema, mon amour riesce benissimo nell’impresa di sensibilizzare lo spettatore; bravo perciò l’autore, nel creare un legame empatico tra il pubblico e i protagonisti di questa pittoresca, resiliente situazione, raccontata qui tra lampi di ironia e quadretti che suscitano una qualche tenerezza, specie in chi ama simili episodi di bonaria – ma volendo anche eroica – resistenza cinefila.