Trenta anni dall’immane tragedia di Chernobyl. Anche il Trieste Film Festival ha voluto dar rilievo all’amara ricorrenza, proiettando la sera del 23 gennaio un film, La supplication (ossia Voices from Chernobyl), la cui visione non può che lasciare pesanti strascichi nella coscienza degli spettatori. Diretto dal film-maker lussemburghese Pol Cruchten, questo crudele e sincero apologo sui destini, terrificanti, atroci, cui sono andati incontro coloro che vennero esposti alle radiazioni, si basa del resto su un testo di notevolissimo impatto come quello della scrittrice bielorussa Svetlana Aleksievič, premiata con il Nobel per la letteratura nel 2015. Cronista che ha saputo raccontare con toni sempre molto umani aspetti emblematici della vita oltre cortina, dalla condizione di assoluto disagio sperimentata dai reduci della guerra in Afghanistan fino ai suicidi in serie avvenuto dopo lo scioglimento dell’Urss, la Aleksievič ha saputo dar voce in Preghiera per Chernobyl (libro tradotto in tantissime lingue, tra cui l’italiano), tanto alle vittime del disastro che ai loro cari, vite spezzate da una catastrofe il cui peso divenne ancora più schiacciante per le negligenze e i cinici calcoli facilmente attribuibili alle autorità sovietiche. Questo mosaico di vibranti testimonianze, questa collana di voci e storie strazianti, ha valso poi da guida al dolente poema visivo di Pol Cruchten, le cui immagini essenziali e potenti ci accompagnano direttamente, tra l’altro, sul luogo del disastro.
La città fantasma di Pripyat, Chernobyl con il vecchio reattore, i sinistri paesaggi di località abbandonate da anni e all’epoca teatro di morte hanno fatto da sfondo alle riprese di un film a suo modo eccezionale, dove la natura violata e contaminata, assieme ai manufatti dell’uomo lasciati lì ad arrugginire (le inquietanti immagini del luna park, per esempio), è un qualcosa che assurge a monito nonché a cartolina speditaci da un possibile futuro dell’umanità, che vorremmo a tutti i costi scongiurare.
Mentre una voce fuori campo, in francese, (scelta per certi versi straniante, che fa riecheggiare subito nella nostra memoria di spettatori il capolavoro di Resnais, Hiroshima mon amour), riporta le allucinanti testimonianze di chi ha vissuto in prima persona l’orrore di Chernobyl, figure umane essenziali (tra cui l’attrice russa Dinara Drukarova, chiamata a interpretare più personaggi) e dal volto spento, addolorato, ne materializzano sullo schermo il ricordo.
Diversi i racconti che colpiscono al cuore lo spettatore, tra questi ci ha nuovamente impressionato quello dell’uomo che, nonostante l’ordine dato dopo l’incidente di abbandonare nelle case gli animali e qualsiasi oggetto personale (per via, ovviamente, della radiazioni assorbite), volle portarsi dietro la vecchia porta d’ingresso, dove erano stati deposti i propri famigliari deceduti, in passato; e dove di lì a breve sarebbero stati deposti altri cadaveri, purtroppo…
Una storia, questa, che per la cronaca aveva già ispirato un bel cortometraggio di produzione irlandese candidato all’Oscar diversi anni fa, The Door di Juanita Wilson.