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Trieste Film Festival: Sole alto di Dalibor Matanić

Creato il 23 gennaio 2016 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
trieste

Si respirava un’aria di profonda, palpabile commozione, ieri sera alla Sala Tripcovich. Il 27° Trieste Film Festival non poteva che aprirsi con un ricordo della sua storica direttrice, Annamaria Percavassi, affidato in parte alle parole rotte dall’emozione di Cristina Sain, Fabrizio Grosoli e Nicoletta Romeo, in parte al conciso ma assai toccante montaggio di riprese che ne hanno fatto rivivere l’umanità, la cultura, il modo così peculiare di rapportarsi agli altri. E tra le immagini riproposte per l’occasione ci ha molto colpito l’intervista in cui la Percavassi, scomparsa da poche settimane, sottolineava la costante presenza al festival di cineasti croati, sloveni, bosniaci e serbi, anche negli anni in cui la guerra dilaniava l’ex Yugoslavia; come a dire che l’unità degli artisti e degli uomini di cultura appartenenti a quei popoli non è mai venuta meno, contraddicendo così il brutale cinismo dei loro leader politico/militari e l’irrompere nella Storia dei venti nazionalisti, per trovare poi proprio a Trieste, in ambito festivaliero, una specie di “porto franco” dove rinsaldare quei vecchi legami. Le parole pronunciate a suo tempo dalla Percavassi ci sono pertanto sembrate (insieme alla presentazione di Nicoletta Romeo, come sempre puntuale e “sul pezzo”), l’intro ideale per il film che avremmo a breve visto.

Premiato a Cannes nella sezione “Un Certain Regard”, già pronto per essere distribuito in Italia dalla Tucker di Sabrina Baraccetti e Thomas Bertacche (presenti in sala), Sole alto (titolo originale Zvizdan) è un mirabile racconto cinematografico che traspone le tensioni etniche prima e dopo la guerra nei Balcani in tre sofferte parabole sentimentali, affidate peraltro alla medesima coppia di attori.
Da un lato lo sguardo sensibile del protagonista maschile Goran Marković, invitato anche lui sul palco a Trieste, dall’altro la passionalità espressa in modo genuino e diretto dalla controparte femminile Tihana Lazović: questi due meravigliosi interpreti accompagnano lo spettatore in tre differenti segmenti narrativi che hanno ognuno un respiro proprio, ma che parlano comunque di amori brutalmente soffocati o messi in ogni caso a dura prova, per il semplice appartenere lui alla comunità croata e lei a quella serba.
Significativamente le date di questi tre inserti narrativi sono 1991, 2001 e 2011, ossia decenni diversi scelti per porre in primo piano ora l’assurdo irrompere dell’odio e della violenza in una cornice ancora pacifica, ora la difficoltà immediata a riprendersi dai traumi della guerra, ora gli strascichi a lungo termine del sanguinoso conflitto. Il regista croato Dalibor Matanić, che avevamo seguito con curiosità sin dagli esordi (ovvero l’eccentrico e promettente Cashier Wants to Go to the Seaside, da lui girato nel 2000), trova qui il tono giusto per ciascuna storia, ricorrendo a uno stile che sa valorizzare gli elementi ambientali, la ricerca del dettaglio, la stessa dimensione corporea dei protagonisti. Il collocare l’amore come fragile baluardo, opposto agli odi etnici e alla cultura del sopruso, è in definitiva qualcosa che Matanic ha saputo esprimere avvicinandosi quasi al forte impatto emotivo suscitato in noi, tanti anni fa, dal folgorante Prima della pioggia di Milcho Manchevski. Ma con un tocco, rispetto al regista macedone, forse persino più libero e arioso.

Stefano Coccia



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