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Trilogia della città di K.

Creato il 20 novembre 2013 da Siboney2046 @siboney2046

kristof trilogia della città di k.

Come qualcuno avrà visto dal mio profilo Instagram recentemente mi sono imbattuta nella lettura di Trilogia della città di K. di Agota Kristof, scrittrice ungherese che da anni ha ormai abbandonato il suo Paese d’origine per trasferirsi in Svizzera.
Il titolo è un po’ fuorviante perché potrebbe suggerire che si tratti di una vera e propria trilogia mentre si tratta semplicemente di un romanzo tripartito in tre grandi storie, strettamente interconnesse, ovvero Il grande quaderno, La prova e La terza menzogna, dove nel primo troviamo raccontata l’educazione sentimentale di due gemellini che la madre è costretta a lasciare alla crudele nonna sotto i cui maltrattamenti i ragazzini cresceranno sviluppando una feroce quanto leale concezione di vita. Le vicende della seconda parte sono invece la continuazione della vita di uno dei fratelli, Lucas, che si ritrova solo dopo che il fratello ha lasciato la città e che manifesta un estremo malessere esistenziale per questa separazione. La terza parte rappresenta l’epilogo delle vicende che a tratti sembrano irreali, come se finora fossero state messe in scena solo delle menzogne ed è arrivato quindi il momento di svelare l’inganno.

Mettendo le mani avanti dico subito che a me questo romanzo non è piaciuto, per molti aspetti e nonostante sia stato molto apprezzato. Ci sono molti motivi che concorrono al mio giudizio, ma forse il primo fra tutti è lo stile della scrittrice ungherese. Sul mio volume viene recensita come «una prosa di perfetta, innaturale secchezza, una prosa che ha l’andatura di una marionetta omicida», per me è semplicemente un prosa povera, scarsa, senza anima; se nella prima parte può anche essere concepibile in quanto Il grande quaderno è scritto sotto forma di diario dei gemelli ancora bambini e dunque rispecchia la scrittura acerba di una mente non ancora completamente sviluppata, nella seconda e terza parte ho riscontrato pochissimi miglioramenti che vanno a creare un registro troppo misero per il mio gusto un po’ ricercato (adoro Irving e adoro Roth, per capirci): le frasi composte solo da soggetto-verbo-complemento oggetto mi annoiano da morire ed un intero romanzo costituito da un periodare così arido fa scemare qualsiasi entusiasmo io possa avere.

In secondo luogo la vicenda. Ora, in via teorica ha una grande potenzialità, c’è anche una certa suspense narrativa che però non è controbilanciata da nessuna sconvolgente rivelazione. La mia sensazione è stata quella di trovarmi davanti ad un trucco da illusionista solo che dopo “La Promessa” e “La Svolta” non c’è stato “Il Prestigio”, il che ha fatto perdere ogni fascino al racconto. La storia ad un tratto langue ed il poco coinvolgimento rimasto (sopravvissuto alla prosa aridamente vuota) è completamente svanito. Questo racconto non è riuscito a lasciare alcun segno in me, neanche una scalfittura, nonostante la voluta crudezza degli episodi che vengono affrontati con gelido distacco e disumano cinismo con l’unico risultato di non suscitarmi alcuna emozione. Anche le vicende più dure per me non hanno alcun soggiogante ripercussione (se penso ad una crudezza narrativa che veramente scalfisce il nome è solo uno, Insciallah) forse perché combinate ad una povertà sentimentale che costella tutta la vicenda. In poche parole per me in questo libro manca il cuore.

So che in molti hanno apprezzato, anzi, adorato, questo romanzo, per questo motivo, se siete fra di loro, mi piacerebbe sapere cosa vi ha colpito, cosa vi ha lasciato un segno e perché. Quindi ditemi, cosa vi ha colpito di Trilogia della città di K. e perché?


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