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Triste storia della morte di un paese (e di un amore)

Da Nubifragi82 @nubifragi

Reneuzzi

Reneuzzi è un paese abbandonato nell’appennino piemontese, provincia di Alessandria. Situato ad oltre mille metri sul livello del mare, Reneuzzi è probabilmente uno dei paesi più isolati dell’intera penisola. Per intenderci, non è collegato ad altri paesi tramite strade carrabili e l’unico modo per accedervi è un sentiero che da Vegni, situato ad un’ora di auto da Novi Ligure, porta al paese di Reneuzzi dopo due ore di cammino. Senza acqua corrente né elettricità, è inutile dire che il paese non è più abitato, dal 1961 qui non vi è più anima viva. Ora, questa storia è comune ad altri borghi montani e non ci sarebbe altro da analizzare se non il malinconico e inevitabile abbandono della montagna. Ma qui c’è qualcosa di diverso. Il paese non muore da solo, agonizzando lentamente tra partenze e vecchiaie. No, questa volta si porta con sé due vite e una storia d’amore e follia.

L’escursionista che giunge a Reneuzzi è presto incuriosito dal piccolissimo cimitero della frazione. In un recinto di cinque metri per tre, si trovano una dozzina di tombe ormai illeggibili, la cui datazione va dall’inizio del XX secolo al 1954. Poi vi è una tomba meglio conservata di altre. Ha una bizzarra forma a casetta e appare sproporzionata rispetto alle dimensioni del cimitero. In basso c’è una lapide con una scritta: Bellomo Davide, 12-5-1930  22-9-1961, papà e mamma dolenti. E’ l’ultimo abitante, morto a 31 anni.

Siamo nel 1961, l’Italia corre verso il boom economico, le città brulicano di vita e sempre nuovi quartieri spuntano là dove prima c’era la campagna. Per un’Italia che cresce, un’altra arranca. La montagna si spopola e invecchia: gli anziani e i pochissimi giovani rimasti salutano ogni giorno qualcuno che se ne va, le porte si chiudono e nella maggior parte dei casi non verranno mai riaperte. Sono anni spietati per i paesi isolati, le curve demografiche precipitano. Reneuzzi paga una situazione anche peggiore di altri centri. Niente acqua, niente elettricità, niente terra e pochi pascoli. Mentre Milano esplode di luce, duecento chilometri più a sud c’è ancora chi vive senza lampadina e rubinetto. Estremi di un paese in fase di modernizzazione incompleta. A Reneuzzi se ne sono andati quasi tutti già nel primo dopoguerra. In quell’estate del 1961 nel paese non è rimasto che Davide Bellomo. Davide è fidanzato con Maria Franco, ventenne di Ferrazza, paesino non lontano da Reneuzzi e in uguali condizioni di isolamento e conseguente spopolamento (oggi è anch’esso disabitato da molti anni). E’ una storia tormentata, i due sono cugini e la famiglia di lei, una delle ultime rimaste a Ferrazza, non vede di buon occhio la coppia. Un giorno di settembre Maria comunica a Davide che se ne andrà con la famiglia in un paese del genovese, in cerca di lavoro e di una vita migliore. Davide non ci sta, ha visto partire tutti gli amici di infanzia, morire gli anziani, si è ritrovato solo, senza sapere dove andare in un mondo che non conosce all’infuori della sua montagna. Un giorno, impazzito per la paura di perdere anche Maria, gli spara e la uccide. Poi scappa nei boschi. Lo ritroveranno pochi giorni dopo, morto suicida. Con il suo suicidio si conclude la storia di Reneussi. La famiglia di Maria se ne andrà da Ferrazza e anche quest’ultimo paese saluterà la civiltà.

E’ una storia di isolamento sociale, di disagio psichico e imbruttimento dovuto all’abbandono e, forse, all’ignoranza. Sebbene la trama fosse lontanissima dalla vicenda di Reneuzzi, ho ripensato al romanzo “La storia” della Morante, dove Ida Ramundo e la sua famiglia subiscono la “storia” che si sta compiendo, senza poter difendersi in alcun modo. E’ la storia di Davide e Maria, nati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Se fossero nati cento anni prima, la loro vita non sarebbe stata meno grama, ma avrebbero comunque vissuto una realtà diversa. Invece nacquero alla fine di un’era e  furono travolti dal cambiamento. Altrove si iniziava a vivere bene, a circondarsi di agi e sorridere alla vita, sulle montagne della val Borbera si subiva invece lo stato depressivo causato dalla fine di una civiltà. Chi visse quegli anni in quei posti che la storia stava tagliando come una spesa inutile, dovette abbandonare quella vita o rimanerne imprigionato. Non penso che quel mondo fosse da salvare, l’uomo tende al miglioramento della propria condizione e l’imbruttimento di una vita impossibile arreca più lutti che gioie. Ciò che ritengo assurdo è dimenticare quel mondo. Dimenticare storie è impoverire la nostra vita, ma non solo. Molti di noi discendono probabilmente da persone che vissero in luoghi come Reneuzzi, uomini e donne che se ne andarono in cerca di una vita migliore. Dimenticare quella storia è dimenticare la loro storia. Quando un paese è lasciato a morire trascina con sé la storia degli uomini e delle donne che vi vissero. Le case crollano, ma non è il peso della storia a sfondare i tetti. E’ la dimenticanza.

Alcuni link con foto di Reneuzzi e notizie sulla tragica vicenda:

http://paesifantasma.wordpress.com/category/paese-fantasma/paesi-fantasma-piemonte/

http://nazioneoscura.wordpress.com/2012/11/05/pesi-fantasma-e-villaggi-abbandonati-parte-vii-reneuzzi/

http://blog.libero.it/montagna/view.php?id=montagna&mm=1006

La foto è tratta da http://digilander.libero.it/giorgiocroce/



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