Le manifestazioni di piazza italiane mi mettono tristezza. Hanno in sé il germe del finito, dell’indeterminatezza, della sterilità e, anche, del patetico. Dietro non c’è niente. Non c’è progettualità. Non c’è un’idea di società o di politica. Persino la violenza è estemporanea e fine a se stessa (non tutte le violenze, lo sono).
In Francia la società civile è stata apparentemente silente ma ha spazzato via, in soli 5 anni, quello che sembrava poter diventare un sistema, cioè il potere di destra di Nicolas Sarkozy. Novello Berlusconi, si è accomodato fuori dai palazzi del potere ed è sparito.
In Grecia si è scelta la violenza. Scelta legittima quando una società viene mutilata, tormentata, violentata dalle ruberie dei politici da una parte e dai tagli imposti da agenti esterni come il Fondo Monetario dall’altra. E, al momento del voto, quella stessa società civile ha mandato quasi al potere Tsipras. È, per intenderci, come se in Italia mandassimo a pochi voti dal governo Nichi Vendola.
In Spagna è vero che ha stravinto la destra liberista di Mariano Rajoy, ma il suo potere nasce zoppo per l’altissima percentuale di astenuti e una società civile, ancora una volta, in perenne rivolta.
Persino negli Stati Uniti, la piazza ha mandato via a calci nel sedere George W. Bush svoltando a novanta gradi con Barack Obama.
In Italia le proteste nascono in autunno e muoiono in primavera, lasciando dietro di sé rimpianti e nient’altro. Manca una sponda in politica. Manca una rappresentatività extraparlamentare, come possono essere gli Indignados spagnoli o Occupy in Usa. Una società, quella italiana, amorfa, anestetizzata e in balia di se stessa.