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Trivellazioni nell’Adriatico: Renzi teme i Referendum

Creato il 14 febbraio 2016 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Cardedu 6di Gigi Montonato. Sembra che la modernità in Italia, nel Mezzogiorno soprattutto, debba sempre risolversi in un dilemma: o il lavoro e il benessere economico da una parte o la salute in povertà dall’altra. Il caso Ilva a Taranto ha sbattuto in faccia alle persone questa drammatica realtà: o l’occupazione e il cancro o la disoccupazione e la fame. Come se in mezzo non ci fosse altro. Così è pure per le trivelle alla ricerca del petrolio nell’Adriatico.

La trivellazione del fondo marino eseguita a regola d’arte, come si dice, non dovrebbe rappresentare minaccia alcuna per l’ambiente. Ma si sa che l’incidente, l’imprevisto può sempre accadere; e con l’imprevisto bisogna fare i conti, prima non dopo, perché le conseguenze potrebbero essere disastrose. L’incidente accaduto nel 2010 nel Golfo del Messico con lo sversamento in mare di enormi quantità di petrolio e l’inquinamento delle coste della Florida, in seguito all’inabissamento di una piattaforma petrolifera della British Petroleum, ha messo in sacrosanto allarme il mondo.

Non voglio dire che noi in Italia siamo più soggetti ad “imprevisti” che in altre parti del pianeta, ma non possiamo non riconoscere che molto spesso da noi le decisioni si prendono a cuor leggero, se non addirittura con spirito truffaldino e, a disastro compiuto, non si sa né chi le ha prese né come né perché. Di acciaierie, tanto per fare un esempio, ce ne sono tante in Europa, eppure non producono i disastri che hanno prodotto in Italia. Allora…

E’ di tutta evidenza che la politica deve preoccuparsi sia del lavoro e del benessere economico, sia della salvaguardia dell’ambiente e della salute dei cittadini. Di qui la necessità di dire sì o no solo dopo aver studiato la cosa in ogni suo aspetto e in ogni sua conseguenza, come del resto vuole la legge. Qualsiasi struttura produttiva in un contesto paesaggistico, urbano o naturale, deve essere valutata in rapporto alle due necessità, considerate non come esclusiva l’una dell’altra, ma come coesistenti. Laddove non è possibile garantire la salute dei cittadini occorre rinunciare a qualsiasi impianto industriale, fino a quando non si trovano i giusti rimedi preventivi. La salute prima di tutto! E’ massima degli antichi.

In Italia nel 1987 abbiamo bocciato con un referendum il nucleare (80,6 %) non perché non avessimo bisogno di energia ma perché l’installazione di centrali nucleari poteva costituire catastrofi. Ce lo aveva detto l’anno prima il disastro di Chernobyl in Ucraina. Poi sappiamo che centrali nucleari ci sono in molti paesi d’Europa, perfino confinanti col nostro. Il che conferma che progresso e salute non si escludono l’un l’altra, laddove le cose si fanno come Dio comanda.

Ora siamo alle prese con l’ennesima minaccia ambientale. Il governo Renzi ha dato la concessione alla multinazionale Petroceltic Italia a fare delle prospezioni nel mare Adriatico nei pressi delle isole Tremiti per vedere se nella zona c’è petrolio.

Ha tenuto conto il Ministero per lo Sviluppo Economico che in quella parte di mare c’è un Parco Naturale? Ha tenuto conto dell’impatto ambientale e dei rischi che si possono correre? Abbiamo ragione di dubitarne. Infatti sia il governo, per bocca del ministro Federica Guidi, sia i dirigenti italiani della multinazionale in questione, hanno cercato di spostare il problema, minimizzando: ma si tratta solo di prospezioni, non è il caso di allarmarsi. Ma si “prospetta” a che scopo? Gli esperti hanno spiegato che perfino le prospezioni procurano dei danni all’ecosistema. In un articolo apparso sul “Nuovo Quotidiano di Puglia” (13 gennaio 2016) il prof. Ferdinando Boero, docente di Zoologia e Biologia Marina all’Università del Salento, ha detto che “le prospezioni si basano sull’emissione di fortissimi impulsi sonori che hanno sicuramente impatti sui cetacei (delfini, balene e capodogli) e probabilmente anche sul resto della fauna. Le prospezioni non sono qualcosa di innocuo, e già violano la Direttiva Marina dell’Unione Europea” (Le leggi dell’ecologia e le leggi dell’economia, 13 gennaio 2016). Ma, a parte ciò – a parte solo per esigenza retorica – una volta accertato che il petrolio c’è, che si fa, buonasera e grazie e si smonta tutto? Era solo curiosità? Via, cerchiamo di essere seri!

A fronte del referendum contro le trivellazioni, già ammesso dalla Corte Costituzionale, il governo cerca di perdere tempo. Alcuni quesiti sono stati disinnescati da Renzi col cambiamento nella legge di stabilità di norme afferenti la materia, due altri sono oggetto di conflitto di attribuzione davanti alla Consulta. Ed è notizia di oggi, sabato, 6 febbraio, che il Ministero dello Sviluppo Economico ha detto stop alle trivellazioni in mare davanti alle coste dell’Abruzzo, ma non nel Canale di Sicilia e alle Isole Tremiti, dove il limite delle dodici miglia non è garantito.

E’ probabile che il provvedimento del Ministero miri a disinnescare la mina referendaria. Si sa che al governo i referendum sono indigesti. Ma i referendum si devono fare, perché deve essere chiara la volontà dei cittadini su un problema così serio.

Ma, invocati dai comitati promotori per lo svolgimento in un unico giorno con le Amministrative (Election day), anche per il risparmio di trecento milioni di euro, i referendum sono osteggiati perché si teme possano influire sul voto politico degli elettori. Esprimersi contro le trivellazioni in mare è in un certo senso esprimersi contro chi le ha autorizzate o chi potrebbe ancora autorizzarle, ossia il governo. E questo Renzi non lo sopporta. Non teme l’inquinamento del mare e delle coste italiane; teme il referendum contro.


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