Se Tron all’inizio degli anni ’80 era stato forse il simbolo della possibilità offerte dagli effetti speciali, questo Tron: Legacy non tradisce certo le attese da questo punto di vista.
Il film di Joseph Kosinski è uno splendore visivo che ti fionda in un mondo digitale brillante e oscuro allo stesso tempo.
Kevin Flynn è scomparso misteriosamente negli anni ’80 e la Encom, la società di cui lui era il creatore decide di interrompere la filosofia di condivisione gratuita del proprio innovativo sistema operativo per pensare ai guadgni.
Sam, il figlio di Flynn, non è però daccordo e ostacola i lavori.
Ma la vera avventura deve ancora arrivare perchè Sam scopre che il padre è riuscito a creare un mondo paralllelo completamente digitale e da vent’anni vive nel suo stesso videogioco.
Qui però le cose non vanno nel migliore dei modi, perchè la sua creatura gli si è rivoltata contro e lo tiene prigioniero.
Toccherà a Sam mettere a posto le cose e far capire a tutti qual è il mondo reale.
Tron: Legacy è davvero un viaggio nella fantasia digitale e gli amanti dei videogiochi (in particolare di quelle robe per me insopportabili degli anni ’80) si troveranno davvero in paradiso.
La storia fila via liscia e senza grosse pretese, ma il film è una vera e propria esperienza visiva per gli appassionati di effetti speciali.
Straordinario (pur cupo) il mondo parallelo, affascinanti gli scenari e le motoplasma, come pure i combattimenti a colpi di dischi che si concludono con il depixellamento del perdente.
Jeff Bridges è riuscitissimo nel doppio ruolo di Kevin Flynn (che fu già suo nel 1982) e del suo alterego, Garrett Hedlund fa quello che gli viene chiesto.
E poi naturalmente sono sensualissime nelle loro tutine aderenti sia Olivia Wilde che Beau Garrett.
E a questo proposito è curioso il ribaltamento del bianco e del nero come colori simbolici. Nel film la Wilde è in nero e la Garrett in completo bianco, riservato anche ad un curioso e ben riuscito Michael Sheen.
Interpreti e regia a parte, ripeto però che sono gli effetti speciali a farla da padroni, in un mondo che è realmente un videogioco all’ennesima potenza.
Al punto che i dialoghi sono davvero ridotti all’osso e se ne potrebbe quasi fare a meno.
Tra le scene cult vi segnalo Sam che entra nel decrepito Arcade e si ritrova di colpo in pieni anni ’80, con tanto di macchinette per videogiochi da bar e juke box che rilancia pezzi storici di quegli anni.
Ed anche da segnalare è il dialogo tra padre e figlio, con quest’ultimo che lo agiorna sulle novità (in realtà pochine) degli ultimi decenni, e col vecchio Flynn interessato soltanto al Wi-Fi, cui lui già aveva pensato vent’anni prima…
Da godere in una sala attrezzata al meglio.