di Michele Marsonet. Quando il 9 novembre 1989 crollò il muro di Berlino sembrò a tanti che una nuova epoca stesse sorgendo. Fu proprio quell’avvenimento, tra l’altro, a ispirare a Francis Fukuyama la sua celebre – nonché bizzarra – teoria della “fine della Storia”, che secondo il politologo nippo-americano finiva a quel punto non essendovi più all’orizzonte alcuna plausibile alternativa alla democrazia liberale.
Naturalmente in questi giorni gli articoli celebrativi si sprecano. Ne sono pieni i quotidiani grandi e piccoli, e si susseguono le trasmissioni televisive dello stesso tono. Al sottoscritto tutto questo procura un mix di noia e fastidio, ragion per cui provo a fare il bastian contrario, ben sapendo di prestare il fianco a critiche e obiezioni anche aspre.
Voglio chiedere, innanzitutto, se siamo davvero sicuri che il crollo del muro e la fine della vecchia Unione Sovietica (e dei suoi Stati satellite nell’Europa orientale) abbia prodotto solo rose e fiori, favorendo ovunque la diffusione della libertà e del benessere. Dal mio punto di vista dico subito che mi pare lecito nutrire qualche perplessità al riguardo, e spiego perché.
Leggo sul “Corriere della Sera” che “non è esagerato definire la caduta del muro di Berlino, seguita dal crollo dell’URSS e del suo impero, come uno degli avvenimenti che hanno contribuito a cambiare la storia del mondo in un secolo, il Novecento, che pure di eventi del genere è stato particolarmente ricco”.
Tutto vero, senza alcun dubbio. La storia non affatto è finita come, hegelianamente, voleva farci credere Fukuyama, ma è cambiata in modo decisivo, e chi per sua sfortuna non è più giovane stenta a riconoscerla avendo, per così dire, perso l’orientamento. Non dovrebbe essere così se fosse vera l’interpretazione corrente, secondo cui si trattava di una lotta tra il Bene e il Male. Avendo vinto il Bene, ed essendo il Male stato definitivamente sconfitto, dovremmo tutti essere più felici e tranquilli.
Invece disordine e caos sono aumentati a dismisura sul piano globale e anche all’interno dei singoli Stati (inclusi quelli occidentali). Mentre prima c’era una lotta tra due sistemi socio-politici ideologicamente contrapposti, ora il conflitto si è frantumato in mille rivoli facendo risorgere il fantasma di un fanatismo religioso che si reputava ormai sepolto dalla storia stessa. In precedenza l’avversario (o il nemico, se si preferisce) era individuabile con facilità e le sue mosse in gran parte prevedibili. Adesso la comprensione è preclusa poiché ogni tipo di razionalità sembra scomparso. La lotta si basa su pulsioni ataviche che non riusciamo a riconoscere e, di conseguenza, a contrastare con efficacia.
A un equilibrio basato sul bilanciamento delle forze – ma pur sempre un equilibrio – si è sostituito un coacervo di punti di crisi in continuo aumento e che si estendono a macchia di leopardo. Non si fa a tempo a intervenire in punto che già altri si manifestano, imprevisti e imprevedibili, altrove.
Tornando al 25° anniversario della caduta del muro berlinese, mi si permetta di notare che quel crollo ha ridato fiato alle ambizioni egemoniche della Germania, con grande sorpresa di molti giacché si riteneva che, dopo l’apocalisse del 1945, i tedeschi avessero per sempre rinunciato a simili ambizioni. Un grave errore, intravisto con lucidità – e spiace un po’ riconoscerlo – dal solo Giulio Andreotti quando disse di amare a tal punto la Germania da preferirne due divise invece di una sola unificata.
E non è tutto. Con gli avvenimenti del 1989 l’Italia ha visto diminuire progressivamente il suo ruolo di cerniera tra i due blocchi diventando un Paese sempre meno importante. I problemi dell’immigrazione sono cominciati con le ondate provenienti dall’Est, e ora le nazioni dell’ex blocco sovietico ci fanno una concorrenza spietata sul piano economico e commerciale, potendo contare su sistemi produttivi più agili e su un costo del lavoro assai minore del nostro.
Tante altre cose si potrebbero dire. Prima tra tutte il fatto che gli americani non si accorsero, nella loro foga anti-sovietica, di un fondamentalismo islamico già ben visibile negli anni ’80 del secolo scorso, arrivando a favorire in Afghanistan la nascita di movimenti che li avrebbero poi colpiti addirittura nel cuore stesso del loro territorio metropolitano.
In conclusione, non me la sento di accodarmi ai peana celebrativi per la caduta del muro. Preferisco uscire dal coro ed esaminare il mondo dei nostri giorni con occhio opportunamente disincantato. La realtà, ci fanno notare gli studiosi di fisica teorica, “non è come ci appare”.
Featured image, Map of the location of the Berlin Wall, showing checkpoints, source Wikipedia