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Clamorosa la decisione USA di bloccare circa un centinaio di container nei porti di New York e Seattle, perché il prodotto presentava residui di clorpirifos etile Flavia Serravezza Residui di clorpirifos etile, un potente pesticida utilizzato contro la «mosca dell’ulivo», sono stati rilevati in olii pugliesi e salentini destinati agli americani e ora bloccati alla dogana degli Stati Uniti. Il fitofarmaco, infatti, è autorizzato in Europa, ma non Oltreoceano. Da diverse settimane, ben 98 container sono fermi nei porti di New York e Seattle, per un totale di 10mila quintali di olio extra vergine di alta qualità prodotto in diverse regioni italiane, tra cui la Puglia. Per questo, il 22 maggio scorso, la Regione ha inviato una lettera alle associazioni di categoria, ai produttori olivicoli, alle società di agrochimica, ai rivenditori e ai tecnici, in cui i responsabili del Servizio fitosanitario pugliese hanno comunicato che la sostanza attiva clorpirifos etile subirà “forti limitazioni d’impiego”: l’utilizzo del pesticida è stato revocato su olivo a partire dal 12 giugno scorso e si è inoltre stabilito di limitare a un solo trattamento il suo impiego nei disciplinari di produzione anche sulle altre colture in etichetta. Questa singola applicazione, inoltre, è stata limitata anche nel tempo, («entro e non oltre il 30 giugno»), per evitare l’uso in periodi di inoleazione delle drupe. Peccato che il provvedimento regionale che impone regole stringenti nell’utilizzo di questo pesticida, sia scattato solo a seguito dello stop dei container deciso dalle autorità americane. Eppure, la stessa nota della Regione evidenzia come «le Norme eco-sostenibili per la difesa fitosanitaria e il controllo delle infestanti delle colture agrarie, elaborate e pubblicate annualmente dalla Regione Puglia, non hanno mai previsto l’impiego di clorpirifos etile su olivo, per la sua elevata liposolubilità». Non solo. Dalle indagini avviate dall’Osservatorio fitosanitario regionale, sono stati individuati diversi «punti critici» relativi all’uso di questa sostanza: dalla «presenza di deriva per l’impiego su oliveti e su altre colture limitrofe, come vigneti e fruttiferi» al «diffuso utilizzo della sostanza attiva nel periodo di inoliazione delle olive», fino all’ «impiego non razionale di questa sostanza attiva sulle colture e avversità parassitarie» e, ancora più grave, all’«inquinamento durante le fasi di trasformazione delle olive, per la promiscuità nella lavorazione presso i frantoi di partite trattate e non, con riscontro della sostanza attiva sull’intera partita di olio». Negli Stati Uniti, l’impiego del fitofarmaco menzionato, benché ammesso e autorizzato su diverse colture, non può essere utilizzato nelle produzioni olivicole. L’olio Ue importato dagli Usa viene per questo sottoposto a procedure di verifica preordinate ad accertare l’assenza del fitofarmaco in questione nel prodotto: nella ipotesi in cui tale accertamento abbia esito negativo, sono avviate procedure di allerta in tutto il territorio nazionale. Secondo il Consorzio nazionale degli olivicoltori (Cno) che ha scritto ai ministri dell’Agricoltura e della Salute, questo problema sta provocando danni per circa 100mila euro al giorno mettendo a repentaglio gli scambi commerciali tra i due Paesi. E ogni giorno che passa, evidenzia Cno, il danno economico aumenta, essendo l’extravergine un prodotto di alta qualità con una scadenza temporale. Sempre la circolare della Regione Puglia, sottolinea come «il problema ha determinato maggiori danni nelle produzioni di qualità che rispettano il disciplinare regionale di produzione integrata e nella produzione di olio biologico, in quanto in tali prodotti non è assolutamente consentito la presenza anche minima di residui di fitofarmaci non ammessi». Pertanto, d’ora in avanti cambiano le regole: tutti coloro che sono coinvolti nella filiera produttiva - dice la Regione - hanno l’obbligo di adottare comportamenti rispettosi della norma eco sostenibile e della sicurezza alimentare a tutela dei consumatori. Nella circolare non si parla di eventuali sanzioni per i trasgressori. Tuttavia, viene ben evidenziato che saranno messi in atto «sistemi di controllo» per verificare: usi impropri del clorpirifos etile durante i trattamenti fîtosanitari sulle colture; la vendita presso le fitofarmacie oltre il 30 giugno e il suo utilizzo in campo oltre la stessa data e la presenza di residui nelle fasi di ingresso delle olive nei frantoi «per evitare inquinamento di oli sani». AMBIENTE Il clorpirifos è un pesticida che “galleggia”. A rivelarlo è l’ultimo “Rapporto nazionale pesticidi nelle acque”, redatto dall’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale che lo annovera tra le sostanze più rilevate nel 2010 nelle acque superficiali. La gran parte sono residui di prodotti fitosanitari usati in agricoltura: oltre al clorpirifos, glifosate e il metabolita Ampa, terbutilazina e il metabolita terbutilazina-desetil, metolaclor, cloridazon, oxadiazon, Mcpa, lenacil, azossistrobina, diuron, metalaxil, atrazina e il metabolita atrazina-desetil. Proibito in America per, in Italia è contenuto in più di 70 pesticidi, è uno dei fitofarmaci più presenti nella frutta ed è impiegato in tutti i più diffusi insetticidi per uso domestico. Il clorpirifos è figlio dei gas nervini utilizzati nella prima guerra mondiale. Se ingerito o inalato, in particolare dai bambini, può provocare nausea, vomito, crampi addominali, diarrea, difficoltà di respiro, lacrimazione, tremori, convulsioni, e in casi estremi addirittura stati di coma.
Idati elaborati dall’Agenzia Regionale per l’Ambiente nella Relazione sullo stato di salute del 2011 dicono che la Puglia, con 155.555 quintali di prodotto distribuito nel 2010, è al quarto posto in Italia per quantità di fitofarmaci utilizzati. Nel Leccese, due anni fa, ne sono stati impiegati 2.032.691 chilogrammi, il 15 per cento in più rispetto al 2009. Ma dal conteggio sfuggono i dati relativi ad una delle pratiche più diffuse tra le famiglie. Non è, infatti, solo una questione relativa al mondo imprenditoriale agricolo. Nel Salento, ovunque appestato dai cartelli “Zona avvelenata”, l’uso di diserbanti, fungicidi e concimi sintetici è pratica più che ordinaria anche tra i piccoli produttori. Anche tra chi coltiva l’orto per sé. Una stortura figlia di una mancata consapevolezza degli effetti sulla salute e della facilità estrema dell’acquisto dei prodotti tossici, persino nei supermercati. Come nel caso del clorpirifos, della famiglia dei pesticidi “organofosforici”, tra i più utilizzati in agricoltura, la cui tossicità è ben evidenziata nei rapporti di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, che dimostrano come il clorpirifos è un interferente endocrino, con meccanismi inediti ed inattesi ed effetti a lungo termine sulla regolazione neuro-endocrina e tiroidea. Vuol dire che ha la capacità di alterare i meccanismi di regolazione ormonale e causare ipereccitazione del sistema nervoso, soprattutto nei bambini. Gli effetti del clorpirifos sono particolarmente rilevanti infatti quando ad essere esposti sono gruppi maggiormente vulnerabili come le donne in gravidanza e, di conseguenza, il feto ed i bambini. I“pesticidi” sono prodotti utilizzati in agricoltura a protezione delle colture da parassiti o insetti. Ne è stato sintetizzato un numero enorme e le quantità utilizzate oggi in agricoltura sono impressionanti. I pesticidi si possono trovare in gran parte degli ambienti in cui viviamo (case, scuole, luoghi di lavoro, ecc.), in alimenti quali frutta e verdura, nelle acque sotterranee e potabili, aria, fuliggine e nel suolo. Sono assorbiti rapidamente attraverso i polmoni, la cute e il tratto gastro-intestinale. I bambini, in particolare, sono più esposti. Non essendo facilmente degradabili dai microrganismi, né metabolizzati dagli organismi superiori, tendono ad accumularsi in organi e tessuti e ad entrare nelle catene alimentari. Sono da considerare tra le sostanze in assoluto più tossiche (specie nel medio-lungo termine) per gli esseri umani: nove dei dodici prodotti chimici enumerati dalla Convenzione di Stoccolma, cosiddetti POPs (Inquinanti Organici Persistenti) sono pesticidi. Diversi studi indicano come i pesticidi costituiscano un serio problema di salute pubblica, incrementando nell’uomo il rischio di cancro, malattie neuro-degenerative, aborti, teratogenesi, malattie immunologiche, ecc. Uno studio recente ha dimostrato, utilizzando le stime di esposizione tratte da un “database storico”, che i bambini nati da madri maggiormente esposte in gravidanza a insetticidi organo clorati hanno 6-7 volte più probabilità di patologia autistica rispetto ai figli di madri meno esposte. Dalla fine del 2001 l’Environmental Protection Agency (EPA) ha vietato negli USA il commercio del clorpirifos, un insetticida organo fosfato tra i più utilizzati per uso residenziale. Tale sostanza si trovava praticamente in tutti campioni di aria indoor e nel 60% - 70 % di campioni di sangue raccolti da madri e neonati al momento del parto. I loro livelli ematici risultavano fortemente correlati, mostrando che il pesticida attraversa facilmente e rapidamente la placenta. I possibili effetti conseguenti sullo sviluppo del nascituro si possono immaginare. Una petizione contro i pesticidi nel Salento Oltre 1000 firme sono state finora raccolte per dire “no” alla chimica in agricoltura. E’ la petizione “Vietiamo i pesticidi nel Salento” lanciata a giugno 2013 a Castiglione d’Otranto dall’associazione “Tullia e Gino - Casa delle Agriculture” e il comitato “Notte Verde”. Il successo della campagna di sensibilizzazione contro l’uso di fitofarmaci nocivi e l’abuso di pesticidi nella campagne salentine e pugliesi è la dimostrazione di un’esigenza matura da tempo sul territorio.
Le firme, raccolte attraverso banchetti informativi e on line (su petizionepubblica.it), saranno consegnate al ministro dell’Agricoltura, Nunzia De Girolamo, al presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola e al presidente della Provincia Antonio Gabellone. Saranno interessati, tuttavia, anche i sindaci dei Comuni salentini. Si richiede, da un lato, lo stop assoluto all’utilizzo di fitofarmaci classificati come “tossici”, “molto tossici” e nocivi”, che rappresentano le categorie più pericolose; dall’altro, di regolamentare in modo restrittiva l’uso di pesticidi “irritanti” e “non classificati”, oltre che dei fertilizzanti sintetici. L’obiettivo finale è quello di rendere il Salento zona biologica. La petizione è stata lanciata da Castiglione d’Otranto, ove è in corso da mesi l’esperimento collettivo di riconversione in orti biologici delle terre rimaste incolte per anni. Sono state cedute in comodato d’uso gratuito dai legittimi proprietari a un gruppo di giovani: sette ettari sono già stati coltivati a cereali antichi e in via d’estinzione, poi si sono aggiunti gli ortaggi, tra cui i pomodori di Morciano. Tutto rigorosamente bio. A portare avanti il progetto, assieme al Comitato Notte Verde, è la neonata associazione “Tullia e Gino - Casa delle Agriculture”, dedicata ai precursori del biologico in Italia, i coniugi Girolomoni. L’intento è duplice: recuperare sementi, tecniche, saperi del passato e provare a fare economia reale, tornando alla terra e rispettandola.
http://www.legatumorilecce.org/Riviste/Rivista83.pdf
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