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Troppo Amore! Donne e passioni tristi, di Laura Tappatà.

Creato il 28 ottobre 2014 da Babetteleggepervoi

Troppo Amore! Donne e passioni tristi, di Laura Tappatà.
Titolo: Troppo amore! Donne e passioni tristi.Autore: Laura Tappatà.Editore: Madonini Editore.Pagine: 74.Prezzo: euro 4,99 (e-book).
http://www.amazon.it/Troppo-amore-Donne-passioni-tristi-ebook/dp/B00E4Y7V6O/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1413966814&sr=8-1&keywords=Laura+Tappatà
Da alcuni anni assistiamo all'emergere di nuove forme di malesseri emotivi, di disturbi psicologici e differenti manifestazioni di patologie già note che, rispetto al passato, si presentano con maggiore precocità e complessità.Forse, il vero rischio del tempo delle passioni tristi è la mancanza di equilibrio e di competenza personale, ma anche la noia, l'inefficace ricerca di un benessere effimero, condizioni che riescono, in alcuni casi, a inquinare anche la "passione di tutte le passioni": l'amore.Questo testo vuole riflettere su un quesito gravemente attuale e frequente, sulle sue origini culturali, politiche, psicologiche.Come può una donna accettare la violenza fisica e metafisica dal proprio partner? Ed è possibile amare troppo? La risposta è sì. Tutte le volte che giustifichiamo degli eccessi, quando la nostra relazione mette a rischio il nostro benessere emotivo, la nostra salute e la nostra sicurezza, quando ci adattiamo a tutto pensando che se saremo affettuosi, comprensivi, attraenti, il nostro partner cambierà atteggiamenti, solo per amore nostro, in quel caso stiamo rischiando di amare troppo.L'amore, per i dipendenti affettivi, è ossessivo, soffocante, è parassitario. Il malato d'amore è un "donatore" di amore a senso unico, è un intossicato che prova un malessere psicologico e fisiologico come se fosse dipendente da qualche sostanza; che cosa possiamo fare per contrastare tutto questo?Possiamo fare la scelta di un impegno etico: un impegno mirato alla costruzione di senso della nostra esistenza e di quella degli altri, un impegno che preveda delle parole chiave, che sono benessere, equilibrio, desiderio. E come donne, possiamo sperimentare il nostro valore sia quando ci prendiamo cura degli altri e riconosciamo a noi stesse i meriti delle nostre competenze interpersonali, ma anche quando accettiamo la sana ambizione di voler salire sul palcoscenico come protagoniste, mai vittime di nessuno e di alcun sentimento.Un libro e un'autrice che si discostano dall'ordinario per questo blog. Eppure, credo che l'argomento sia così strettamente di attualità e così coinvolgente da meritare di essere letto e discusso anche in questo angolo.Troppo Amore! Donne e passioni tristi, di Laura Tappatà.


Ho incontrato Laura Tappatà e le ho rivolto un numero incredibile di domande, alle quali ha risposto con un fiume di parole che mi hanno interessato ed entusiasmato. 
Laureata in Filosofia con indirizzo psicologico, Laura Tappatà è membro dell’Unità di ricerca di Psicologia della Creatività (Dipartimento di Psicologia), presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Con un curriculum impressionante alle spalle e chiarissime idee sul futuro, Laura si è prestata a fare due chiacchiere con me, per illustrarmi il libro “Troppo amore! Donne e passioni tristi”, pubblicato da Madonini Editore.

Ben trovata, Laura. Confesso che il tuo libro si discosta non poco dai testi che sono solita recensire. E tu sei un’autrice molto diversa da quelle che intervisto. Niente romantic suspense, niente chick-lit. Ci proverò.Grazie. So che l’argomento è lontano dalle tematiche tipiche della narrativa rosa, però mi sembra che sia di attualità e tale da interessare anche le tue affezionate lettrici.
Ne sono certa. Cominciamo con qualche nota personale, tanto per rompere il ghiaccio? Dove abiti? Sei sposata?Abito a Milano, da sola. Io e mio marito viviamo a 70 chilometri di lontananza: una distanza che è oggettiva e mentale, ma che ha creato un equilibrio tutto nostro nel quale non mancano mai le presenze e la complicità, là quando ce n’è bisogno.Condivisione e separazione per due spiriti che, in questo modo, sanno rispettarsi e volersi bene.
Un ricordo della tua infanzia?Mi sono sempre sentita un’insegnante. Già da piccola (sette, otto anni) sistemavo tutti i miei animali di peluche per terra, creando virtualmente un’aula e, insegnavo... raccontavo storie, li aiutavo a fare i compiti.
Un’insegnante? Davvero? Ho fatto la maestra di animali di stoffa e poi ho insegnato chitarra classica e spagnola e anche nuoto ai bambini. Poi Psicologia Generale all’Università. Ora che ci penso, un lungo curriculum che mi vede sempre impegnata, prima a imparare e poi a trasmettere agli altri.D’altra parte ho sempre pensato che insegnare avesse una sua missione politica e di formazione e che fosse l’occasione per trasmettere e testimoniare valori e contenuti, rendendo possibile la comunicazione tra generazioni. In particolare in università, credo di esserci riuscita. Il mio parametro di misurazione? La quantità di sorrisi, saluti, che fossimo a lezione o agli esami, mail, messaggi, racconti, inviti a tesi, matrimoni e battesimi, da parte delle mie studentesse.
Il tuo curriculum di studio è impressionante. Parlami un po’ di quello che c’è dietro.Ho avuto una formazione spettacolare, nelle scuole pubbliche: dalle elementari, alle medie e alle superiori con insegnanti professionali e passionali. Le cose sono un po’ cambiate in università tant’è che considero, proprio grazie a questa mia esperienza, il mio stile d’insegnamento molto differente da quello ricevuto. In realtà, i professori universitari che ho incontrato li ho più temuti che rispettati: un mucchio di “esemplari Alpha” che dovevano esercitare il loro potere intellettuale.Poi è arrivato quello con cui ho lavorato per tanti anni. In Accademia c’è, se si è fortunati, il privilegio di avere, da adulti, un Maestro. Un rapporto diverso da quello che si instaura quando si è più giovani. Impari e ascolti ma ti rendi conto che non è solo quello. Il Maestro ti offre la tecnica per scrivere e a far ricerca ma il mio mi ha svelato ironicamente i giochi, le ombre, le noie e i pericoli dell’università: mi vedeva troppo innamorata dell’ambiente. Aveva ragione e, ammetto, di non avere imparato granché, su questo. Però mi ha educato alla scrittura.
Lavoro e vita privata. L’un contro l’altra armati?Lavoro e vita privata, fortunatamente, non si sono mai soffocati l’uno con l’altra. Scorrevano su binari paralleli e i binari sono sicuramente un segno della mia vita lavorativa: li potrei adottare come emblema del mio stemma, se ne avessi uno.Binari dei treni. Accettate trasferte fuori regione: il primo insegnamento nelle Marche con tre giorni alla settimana lì e gli altri a Milano e Brescia.Binari di tram e metro. Chilometri in superficie o sottoterra per raggiungere sedi centrali o distaccate. Bastava avere un’aula e degli studenti e io andavo.E anche tacchi, rigorosamente persi per strada e tra i binari dei tram!
Che differenze ci sono (se ci sono) tra i saggi scritti in precedenza e “Troppo amore!”. Differenze di argomento, ma anche di stile, di approccio all’argomento.In realtà, non c’è stato proprio un salto qualitativo netto tra i testi scritti in precedenza per l’università e “Troppo Amore!”. Nel senso che, anche quelli, non sono mai stati troppo teorici perché mi sono sempre interessata ai fatti della vita, ai sentimenti, anche quando ho pubblicato saggi sulle emozioni, sul fascino del rischio, sullo stile di vita e la personalità postmoderna, sulle dipendenze psicologiche. Magari erano un po’ più “contratti” in una forma didascalica visto che erano adottati come testi d’esame. Ma era incredibilmente bello sentirli rinascere con le parole degli studenti, vederli accresciuti dalle loro elaborazioni e dai loro pensieri. Mi sembrava davvero di essere riuscita a parlare con loro e di averli trascinati in un mondo di interessi comuni.“Troppo Amore!” nasce dalla voglia di dare voce alle mie esperienze, alla mia esigenza di ragionare sulle cause degli eventi e di parlare, con passione, alle donne, delle donne e dei nostri stati d’animo.
Dove scrivi? All’Università? A casa? E hai “una stanza tutta per te”?L’università non mi è mai sembrata il luogo adatto per scrivere (tranne quando lo facevo con colleghe per dei progetti comuni), non c’è l’atmosfera giusta: sfrutto tantissimo la Biblioteca per reperire i testi ma, fatto un borsone, me li porto tutti a casa.Qui ho la fortuna di avere una stanza dove c’è l’essenziale. Una scrivania anni ’40, dove si accumulano appunti presi al volo, libri, pc; una poltrona comoda e una libreria colma di libri di letteratura, saggi, poesie; cataloghi, guide di viaggi: dal libro regalato dalla maestra durante la seconda elementare, all’ultimo acquisto. Alle pareti stampe coloratissime dei musei visitati, in giro per il mondo.Questa è la mia idea di luogo ideale, quando scrivo. Circondarmi del “bello vissuto”, dei ricordi che smuovono energia, dell’utile e del comodo. Niente di meglio.
La sinossi ci dà un’idea abbastanza precisa del contenuto di “Troppo Amore!”, ma vorrei che tu ci parlassi della stesura del testo, delle difficoltà incontrate. Rendilo vivo, insomma.“Troppo Amore!”, il libro che riflette sul tema, gravemente attuale, della dipendenza affettiva e delle sue origini culturali, politiche, psicologiche, è stato scritto in diversi mesi: onestamente non ricordo quanti tra la prima stesura e qualche revisione. So che l’ho amato molto e il tempo è passato trasformandosi in quella sana dimensione in cui energie, idee, pagine realizzate, stanchezza e soddisfazione, si mescolano assieme. Saranno stati cinque, sei mesi di feeling? Non lo so.Mentre so di non aver impiegato nulla tra la proposta all’Editore (nella persona di Alessandro Bruciamonti) e l’accettazione del lavoro. Questo perché ho incontrato, da parte sua, sensibilità, attenzione ai particolari e all’attualità del tema trattato, senza per questo però cadere nella spettacolarizzazione del dramma vissuto da molte donne: un atteggiamento che può fare “mercato”, ma che io non condivido più di tanto. Sicuramente fortunata, ma ha senso così. Altrimenti non ci sarebbero stati né fiducia, né divertimento né, tanto meno, interesse a continuare la collaborazione.
Dopo aver pubblicato il libro, hai potuto toccare con mano le reazioni dei lettori. Che impressioni ne hai ricavato?Ho presentato il libro in diverse occasioni. Nelle librerie, in biblioteca, nelle scuole, nei centri culturali, in alcuni eventi. E’ stata una fantastica opportunità per fare nuove conoscenze. Alcune delle mie nuove e belle amicizie sono nate con questo libro.Ovviamente le donne sono… le donne! Attente, sensibili, energiche e con la voglia di raccontarsi ma anche di fare. Tutte sapevano perfettamente di che cosa stavo parlando. Ciò significa che tutte noi, almeno una volta nella vita, abbiamo amato troppo e questo senza cadere nel dramma della violenza fisica. Ma la violenza psicologica, o quella che io chiamo metafisica e il sacrificio per un Altro importante per noi, li conosciamo. I loro erano sguardi lucidi, quelli della consapevolezza; cercavano nel loro passato e, spesso, sapevano assegnare un nome preciso (di uomo o di donna) a chi aveva fatto provare loro quei sentimenti e quegli stati d’animo.Più profondi e confusi, gli occhi delle giovani donne di un Liceo milanese: l’esigenza di conformarsi ad alcune regole dei giochi comuni, che di certo non enfatizzano il valore del rispetto, non impediva loro di chiedersi se, per caso, non avessero già accettato troppo, dai partner, dai loro atteggiamenti e dal loro linguaggio, dai media, dalla cultura.Gli uomini? Spesso silenziosi, come per prendere le distanze da quelli “cattivi”, che si comportano male; alcuni, invece, turbati e con delle domande cui è difficile rispondere: “ma che mamma e che genitori aveva quello che ha buttato l’acido sul viso della sua compagna?”.
Che impatto ha avuto “Troppo Amore!” nel mondo delle tue relazioni di lavoro? Come è stato accolto dai tuoi colleghi di Università?Il mondo universitario ha delle regole formali molte ben precise, una sorta di codice che impari a decifrare. So che alcune congratulazioni non erano molto sincere, ma solo un esercizio di stile. Altre, invece, lo erano perché, in un mondo come quello accademico, che spesso si risolve in una ricerca ossessiva di algoritmi che valutano il tuo “impact factor” nella comunità scientifica, la mia è una posizione davvero invidiabile! Essendo (e, per quanto mi riguarda, purtroppo!) fuori dall’insegnamento, mi posso permettere di scrivere ciò per cui ho un reale interesse e trasmettere dei contenuti e dei valori in cui credo come persona e non solo come docente.Una mia giovane collega mi ha detto: “Ti ritrovo nelle pagine che hai scritto. Ciò che si legge è ciò che sei ed è quello che pensi”. Difficilmente un articolo scientifico ti evoca un giudizio come questo.
Progetti e sogni per il futuro.Per il mio futuro, prevedo (e spero) di continuare a studiare, comprendere e raccontare.Sono un filosofo e la ricerca delle “cause” mi affascina.Vorrei continuare a parlare e scrivere di passioni perché tutta la nostra vita è passione! Sono profondamente convinta che noi siamo emozioni, sentimenti, energie, che interpretano, plasmano la nostra esistenza. Anche lo studio, la ricerca, sono risorse emotive ricche di slanci vitali.Una prima occasione per realizzare tutto ciò ha la forma di un progetto già in realizzazione. E’ un nuovo testo che uscirà alla fine dell’anno: “Il dono del rancore”, edito da Sefer.Differentemente dal pensiero comune e dagli obblighi sociali, penso che quando ci sia stata una ferita, un’offesa che ha provocato un’incrinatura alla nostra identità e un grande dolore, non perdonare è facile e istintivo come respirare.Spero di essere riuscita a presentare un tema così spigoloso in un nuovo modo e, in quest’ottica, il rancore può assurgere a una sua dignità. Il rancore, e le sue espressioni, guadagnano un potenziale creativo.Un altro progetto, che sarà più complesso realizzare, è quello di ritornare a insegnare perché anche questo significa passione, impegno, fatica, trasmissione di contenuti e di spirito critico.E poi, una vacanza!
Grazie per questa intervista molto particolare. Auguri per i tuoi sogni e per i tuoi progetti. Grazie a te. Arrivederci.

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