Per chi da 6 anni dice che l’euro è il cancro che ha distrutto l’Europa e lo dice da sinistra in mezzo alle chiacchiere e agli interessi dei salotti rossi comme il faut, il mea culpa di Stefano Fassina potrebbe dare una certa soddisfazione. Invece dà solo tristezza. Quando l’ex responsabile economico del Pd, già pappa e ciccia con i governi dell’austerità, dice che “l’euro-zona è su una rotta insostenibile… è populista scrivere che l’unica strada possibile per evitare il naufragio è il superamento cooperativo dell’euro? Abbiamo puntato a ricostruire la sovranità democratica in una dimensione di integrazione sovranazionale. Purtroppo, la strada è bloccata. Dobbiamo provare a ricostruire la sovranità democratica nella sub-ottimale dimensione nazionale”, forse non si rende pienamente conto dell’occasione persa a suo tempo per tentare di imprimere una direzione diversa all’unione continentale e alla disgregazione del Paese.
Intendiamoci non sto contestando a Fassina il diritto a cambiare idea, né sottovaluto l’invalidità intellettuale e morale permanente che può provocare una laurea alla Bocconi o presso qualsiasi altro ateneo dell’insider liberista. Anzi gli riconosco un certo coraggio visto che molti compagni di salmone selvaggio ancora oggi non osano prendere di petto il feticcio e si inventano di tutto pur di non dover riconoscere ufficialmente il ruolo della moneta unica come aguzzino dei diritti e della democrazia, persino inventandosi monete parallele e ufficiose come via d’uscita. Il che in sostanza significa un abbandono dell’euro, ma cercando di nascondere la mano e mettendo così in mostra l’inadeguatezza finale del consociativismo italiano.
Tuttavia è innegabile che l’enorme fatica fatta a sinistra nel riconoscere il ruolo dell’euro come strumento della lotta di classe alla rovescia, i troppi anni passati prima che cominciasse a fare capolino, almeno ufficialmente, questa consapevolezza, ha finito per regalare il tema alle destre con la prospettiva di una disgregazione quasi certa non solo dell’euro, ma della stessa comunità. Ed è probabilmente ormai troppo tardi per farne una battaglia di sinistra, almeno in Italia dove si è permesso – a eterna vergogna – che il vessillo finisse nelle mani di un caporale di giornata come Salvini. Così mentre in Spagna i progressisti anti euro in meno di un anno sono divenuti la prima formazione politica, da noi non provoca che dichiarazioni ai giornali, mal di pancia e mea culpa mentre di fatto nessuno ostacola più di tanto il massacro renziano ordinato da Bruxelles.
Eppure la lezione storica c’era e nemmeno tanto lontana nel tempo: la fine della Repubblica di Weimar dove i socialdemocratici affidarono il governo a un professore di economia centrista e liberista, nella speranza che risollevasse il Paese da un crisi di debito (in quel caso dovuto alla improvvida e imperativa richiesta da parte di Washington dei danni di guerra, rimasti in sospeso prima della caduta di Wall Street) mentre non fece altro che affossarlo con ricette molto simili alle attuali, dando poi il via libera a governicchi sempre più a destra, sempre più impotenti sino all’affermazione del nazismo. Tra l’altro la quasi sovrapponibilità delle figure di Monti e di Heinrich Brüning è impressionante (vedi qui).
Comunque sia il cammino intrapreso è ormai quello, arrivati a un nodo storico si è preso un binario morto che non porta da nessuna parte, ma molti sono ancora seduti sul posto prenotato, si chiedono perché si sia arrivati al capolinea e temono comunque di abbandonare la poltroncina. Ancora non capiscono che è tempo di scendere per sopravvivere, di camminare a piedi per riallacciare un rapporto con la società. Purtroppo non sono più abituati.