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True Detective e il Re in Giallo

Creato il 22 gennaio 2014 da Elgraeco @HellGraeco

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È probabile non abbia senso parlare di una serie televisiva dopo aver visto solo due episodi. O forse ha meno senso del solito.

Sta di fatto che, al secondo episodio, con la citazione del Re in Giallo, tutto assume una logica.

Logica dove non c’è logica. O dove, meglio ancora, essa non viene rivelata apertamente. Attendendo paziente d’essere scoperta, pur non essendo essenziale.

Quindi, sì, ha senso. E vedremo perché.

Per cominciare, è un’ottima serie, True Detective, prodotta dalla HBO. Può vantare Woody Harrelson e Matthew McConaughey come protagonisti, una fotografia liquida, fatta dei colori caldo-umidi (e desaturati) della Louisiana, e in ultimo, quel sentore di ritualità che sottende all’intreccio, fin dai primissimi minuti, allorché ci viene svelato un cadavere femminile addobbato secondo una strana cerimonia, con corna di cervo.

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Poliziesco nero incentrato sul bilanciamento dei protagonisti, sul loro essere umani, troppo umani. E per la stessa ragione interessanti. Perché coi loro difetti, cessano di essere repulsivi, per diventare motivo dell’agire: in questo caso particolare, motivo per gli spettatori di guardare ogni singolo episodio. Di aspettarlo.

E se Woody Harrelson è una certezza, con quella sua cadenza strascicata che fa tanto uomo del sud, McConaughey è, dopo Killer Joe, l’attore più in forma degli ultimi due anni. Toltasi la maschera della commedia sentimentale (che forse non era una maschera), sembra abbia veduto, come il suo personaggio in questa serie, un accesso a un’altra realtà, in cui avrebbe potuto diventare un vero attore.

O forse è solo merito di buoni scrittori e buoni personaggi. Forse.

Però, come si diceva all’inizio, il Re in Giallo sembra costituire, nella realtà e nella finzione, la chiave di lettura esplicita.

Guardando i primi due episodi, ascoltando i dialoghi e i colori smorti del tramonto sulle paludi, panorami preistorici evocati dalla rigogliosa vegetazione, allorquando Rust Cohle (McConaughey) esprime la propria perplessità circa l’evoluzione umana, mentre Hart (Harrelson) lo rimbrotta, da uomo semplice e realista, m’è sovvenuta una frase di Sartre, una delle poche della sua opera con la quale sento di concordare completamente:

L’Essere è ciò che è, senza alcuna possibilità di non esserlo.

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O qualcosa del genere.

Con questo mi ricollego al discorso iniziale, del difetto dei protagonisti, difetto che ce li fa amare. C’è in ballo il solito elemento narrativo del “tipo strambo”, che con le sue stranezze, bilanciate dall’altro lato dal “tipo normale”, cattura l’empatia.

Cohle è affascinante per il suo essere difforme. Ma così è, e non c’è alcuna possibilità che divenga altro. Simile discorso vale anche, ovviamente, per il suo collega.

Quindi l’indagine su questo omicidio diviene solo cornice allo spettacolo che questi tipi umani rappresentano con la propria essenza.

Anche se poi, subito, al secondo episodio, entra in ballo il Re.

Chi era il Re in Giallo?

Oltre a essere la chiave di lettura, spero (visto che siamo ancora agli inizi) di questa serie, il Re in Giallo è una raccolta di racconti, dieci, di Robert W. Chambers. Racconti diversi, ma che condividono tutti la medesima cosmogonia, quella del Re in Giallo, un’opera teatrale fittizia capace di rivelare le porte verso altre dimensioni, o verso la follia. In ogni caso, essa produce un cambiamento, una volta in contatto con un destinatario.

In questo senso, la lettura (e la rappresentazione) del Re in Giallo, e la citazione esplicita che in esso si fa in True Detective, è la spia, non bastassero le visioni che affliggono uno dei personaggi, che l’hanno tramutato in una sorta di Messia nichilista, è il segnale della distorsione dal tessuto del reale.

Quasi fosse un annuncio, in stile Twin Peaks (e spero proprio che lo sia), che indica l’apertura di una realtà altra. Non il solito poliziesco, dunque.

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In True Detective si disseminano indizi, si costruiscono teorie e indagini, e intanto s’intrappolano demoni con piccole strutture fatte di rami intrecciati. Tutto ci dice che il Re in Giallo ci svelerà trame che non porteranno da nessuna parte, che saranno tralasciate, in luogo di un cambiamento radicale del modo di vedere le cose.

La capacità di scorgere il segno giallo, visto che, sempre all’apparenza, solo Cohle, stranamente affetto da distorsioni periodiche del tessuto del reale, cui lui non dà peso, è in grado di trovare, trascinando con sé il socio Hart.

Esordio promettente, dunque. E discorso che riprenderemo tra qualche settimana, a conclusione della stagione, per sapere se mi sono sbagliato, o se siamo di fronte a una delle serie più interessanti dell’ultimo decennio.

Link Utili:
Il Re in Giallo su Strategie Evolutive


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