aveva l’abitudine di collezionare piccoli oggetti metallici, li raccoglieva da terra. Fingeva di inciampare, sfiorava il suolo e con gesti distratti afferrava monetine, anelli, tappi di bottiglia, portachiavi. Poi si rialzava irrigidendo la schiena (nel pugno chiuso il pezzetto d’acciaio) e riprendeva a camminare con le mani in tasca. Lungo il tragitto verso casa sentiva l’aria diventare più fredda, focalizzava l’attenzione sui dettagli, sui semafori, sui vestiti stesi al sole tra i palazzi, sui giochi di luce che si riflettevano nelle pozzanghere.
Quel giorno uscì di casa al mattino presto, ai piedi i soliti stivali logorati dalle piogge acide della città, chiuse la porta dietro di sé facendo eco nel palazzo. Uscì sulla strada ad aspettare che nascesse il giorno, incrociò poche auto chiare, un cane annoiato, un vecchio. All’improvviso un bagliore, scorse in lontananza una scintilla di luce, accelerò il passo. Si avvicinò vertiginosamente all’oggetto, con sistematicità finse d’inciampare, si piegò su se stessa, toccò il suolo e, con somma meraviglia, quello che vide fu il suo cuore.