La Sardegna terra di Atlante: le ipotesi di Sergio Frau al convegno di Milis.
di Mauro Manunza
La Sardegna rischia l'aggressione di maremoti?
Certamente sì, anzi è fra le più esposte delle coste italiane.
La civiltà nuragica potrebbe essere stata assassinata da uno tsunami?
In linea teorica sì, e sarebbe bene trovarne le prove.
Professore ordinario di Geofisica della terra solida all'Università di Bologna, Stefano Tinti è uno "tsumatologo" conosciuto in tutto il mondo. Vicepresidente dell'International Tsunami Commission, coordinatore di progetti di osservazione e studio sugli effetti dei maremoti lungo le coste europee. Nessuna sorpresa che mostri interesse per la storia della Sardegna, soprattutto da quando il giornalista Sergio Frau ha spostato le Colonne d'Ercole dallo stretto di Gibilterra al canale di Sicilia e ipotizzato che l'isola dei nuraghi fosse nel II millennio a.C. quella potenza improvvisamente spazzata via da uno schiaffo di Poseidone: in altre parole, la mitica isola di Atlante. Perciò il geofisico Tinti è stato al centro del convegno organizzato a Milis in apertura della mostra Isola Mito (pannelli fotografici di Francesco Cubeddu, carte geologiche e documentazioni varie) inaugurata nel Palazzo Boyl dal sindaco Antonio Mastino.
Le indicazioni di Tinti danno il via a un progetto di ricerca sulla particolarità indicata da Frau: i nuraghi di Campidano, Sinis, Marmilla, emergono tutti da una sepoltura di fango consolidato e detriti, alcuni riportati alla luce (Barumini), molti altri nascosti. Il professor Tinti spiega che il Mediterraneo ha caratteristiche incentrate sullo scontro della placca africana con quella eurasiatica: i movimenti si sviluppano lungo un fronte est-ovest, dove le coste più “tsunamigeniche” sono quelle algerine, dell'Italia meridionale e greche. Sette anni fa, ad esempio, un piccolo sisma subacqueo al largo dell'Algeria suscitò un maremoto responsabile di seri danni nelle Baleari e lungo le coste francesi e liguri, nonché di ondate particolarmente alte sui litorali ovest della Sardegna. In questo quadro appare evidente il rischio dell'isola, collocata poco sopra la linea sismica Algeria-Calabria.
Ma può un terremoto, o una frattura rocciosa, o un'eruzione nei fondali scatenare un maremoto tanto grave da inondare le aree più basse della nostra isola? Certo, ma molto dipende dalla propagazione delle onde: la recente tragedia a Sumatra è stata causata da ondate di 50 metri. Però, dopo avere provocato danni e lutti, in tempi brevi l'acqua si ritira, senza trasformare un territorio in acquitrino permanente o mutare l'assetto di vaste superfici. Quel che invece è in grado di combinarla grossa è lo tsunami conseguente alla caduta in mare di un asteroide, o una cometa. Un macigno siderale si tuffa alla velocità di 20 chilometri al secondo e solleva una massa d'acqua che si scaraventa sulle coste anche le più lontane.
Stefano Tinti, dunque, immagina la possibilità di un fenomeno del genere definendolo "il grande evento" di oltre 3000 anni fa. Il meteorite precipita non lontano dalle coste sarde creando un improvviso spostamento di massa d'acqua, una grande corrente di onde altissime, un mare alto 300/400 metri che entra nel Campidano e sommerge tutto con una pressione di spinta capace di devastare il territorio fino alle alture che circondano il livello depresso: lì si ferma, dopo avere diviso l'isola. Precisa il professore: non è come l'arrivo di un'alta marea che poi pian piano defluisce e se ne va; piuttosto un'invasione catastrofica, diciamo pure uno schiaffo del mare che travolge i nuragici delle aree basse, demolisce le loro torri e seppellisce tutto sotto una coltre di detriti trascinati assieme a fango, rocce, materiale marino organico e minerale. Un pezzo di mare che resta lì per secoli, distesa d'acqua stesa lungo la valle trasversale che dal golfo di Cagliari si allunga fino alle piane oristanesi. A pensarci, non c'è località del basso e alto Campidano che non abbia almeno il ricordo di su staini: quanti stagni, quante bonifiche in era moderna, quante lagune che ancora fanno parte del paesaggio? Ma per accertare l'ipotesi tsunami si devono scovare i segni dell'aggressione. «Bisogna cercare nel fondo del Campidano. E che cosa c'è devono dircelo i geologi», cui spetta analizzare gli strati con sedimenti marittimi e i segni di un grande flusso turbolento.
Ma ancora non basta. Dopo aver esaminato decine di nuraghi e constatato la differenza tra quelli integri del centro Sardegna e quelli incapsulati nel fango secco in Campidano, il geologo Mario Tozzi (ricercatore del Cnr e noto divulgatore scientifico) afferma la necessità che scendano in campo anche i sedimentologi.
Ecco pronta Lucia Simone, Dipartimento di Scienze della Terra all'Università napoletana Federico II: guarda caso, sta lavorando su depositi marini in Marmilla. Ma è presto per tirar somme. Avverte che in una terra antica come la Sardegna si trovano impronte di ere lontane e di condizioni recenti, e che nel caso nostro i ritrovamenti non devono essere fossili ma forme attuali. Cioè occorre trovare tracce di specie animali ancor oggi viventi. Come dire testimonianze di 3000 anni fa e non di tre milioni. Bisogna scoprire inoltre strutture sedimentarie che documentino il meccanismo di abbandono. Quindi indagini serie sedimentologiche e paleontologiche potrebbero documentare il grande evento di cui parliamo. Dare il via a studi interdisciplinari del genere sarebbe opera meritoria, così come meritoria è la strada aperta da Frau, in quanto ha introdotto un nuovo concetto: quello di archeologia del paesaggio. Questo il parere del professor Dario Seglie, direttore in Piemonte del Centro studi d'arte preistorica, e ambasciatore dell'Unesco. E Attilio Mastino, ordinario di storia romana e rettore dell'Università di Sassari, parte dal punto fermo delle Colonne d'Ercole ricollocate da Frau a est del Mediterraneo orientale, per dare atto che questa rivoluzionaria intuizione ha portato inedite ipotesi e scoperte. Nella direzione del disastroso schiaffo del mare vanno i pareri di altri studiosi che hanno vivacizzato il convegno di Milis e che trovano ora prospettive di concreto sviluppo nella sponsorizzazione, dopo otto anni di dibattiti, della Regione sarda. Attilio Dedoni, presidente commissione Cultura del Consiglio, è convinto che la scienza darà ragione a Frau. La ricerca scientifica, quindi, è praticamente al via. Quanto al giornalista, che ha sempre detto «io ho fatto ipotesi, voi adesso scavate», vede un nuovo passo in favore della sua "Pompei del mare" e ribadisce una sfida oggi più aperta che mai.
Tratto da un articolo dell'Unione Sarda del 4 Novembre 2010